Ungheria La corsa alle terre è cominciata

by Sergio Segio | 30 Ottobre 2012 19:22

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Un alto portone bianco, dalla cancellata nuovissima: sembra quasi di trovarsi  all’entrata della tenuta del leggendario clan Ewing in Texas. Soltanto il campanello, fabbricato a Firenze, lascia intuire che l’antico casino di caccia dei conti Széchenyi, nel sudovest dell’Ungheria, appartiene a Carlo Benetton, della dinastia italiana del tessile. Proprietario di immense tenute in Argentina, qui in Ungheria coltiva  settemila ettari a mais, grano e pioppi.

La gente lo chiama il ‘castello Dallas’”, dice con un sorriso Harri Sitos, segretario municipale di Gà¶rgeteg, a sud del lago Balaton. Quanto al paesino di 1.200 abitanti, circondato da recinti che proteggono i campi dalla selvaggina, alcuni l’hanno soprannominato invece ‘Alcatraz’, come l’ex penitenziario americano: il tasso di disoccupazione è del 50 per cento, le speranze di trovare un posto lavoro sono scarse, con la sola eccezione dei servizi di  sicurezza delle tenute.

L’Ungheria non ha petrolio. Ha però terre coltivabili – oltre 5 milioni di ettari – che stuzzicano l’appetito di molti, perché il divieto agli stranieri di acquistare terreni imposto dal 1994 ed esteso in occasione dell’adesione dell’Ungheria all’Unione europea nel 2004 dovrebbe essere revocato alla fine di maggio 2014. Quanto meno secondo le previsioni di Bruxelles.

È partita di conseguenza una vera e propria corsa per far restare quanto più possibile queste terre in mani ungheresi. La nuova legge agraria, adottata nel luglio scorso su iniziativa del governo conservatore di Viktor Orban, preclude agli stranieri di comperare terreni agricoli e inficia i contratti firmati in previsione dell’apertura del mercato.

“Tutti gli esperti pensano che l’Ungheria abbia un potenziale notevole”, ricorda Peter Roszik, presidente della camera dell’agricoltura di Gyà¶r-Moson-Sopron, al confine con la frontiera austriaca. “C’è fame di terra. Per ogni lotto di terreno disponibile ci sono da sei a otto aspiranti compratori”.  E in realtà  c’è ben poco da distribuire, se si eccettua il mezzo milione di ettari coltivabili del settore pubblico che il partito Fidesz al potere aveva promesso durante la campagna legislativa del 2010 di riservare in via prioritaria alle famiglie locali perché le coltivino.

La tensione aumenta tra i piccoli contadini ungheresi e gli “oligarchi”, spesso membri della cerchia di Viktor Orban che ha tratto beneficio dalle recenti allocazioni di terreni (circa centomila ettari) che lo stato ha affittato a  prezzi stracciati per venti anni. Oggi quei terreni valgono letteralmente oro. Negli atti notarili in Ungheria la terra è ancora valutata in corone d’oro dell’imperatrice Maria Teresa.

Il segretario di stato per l’agricoltura, Jozsef Angyan, schierato con i piccoli coltivatori, alla fine di gennaio si è dimesso con grande clamore per protestare contro questa forma di clientelismo. Da allora Angyan, che è ancora deputato conservatore, ha continuato a pubblicare cifre dalle quali risulta che i ‘baroni verdi’ o ‘arancioni’ – il colore di Fidesz – si stanno accaparrando la parte del leone.

L’agricoltura è un vero affare grazie ai sussidi europei pari a circa 200 euro l’ettaro e all’esenzione, per almeno cinque anni, delle imposte sul reddito dei terreni coltivati. Grazie a questo sistema i più furbi ogni anno si mettono in tasca  fino a 75 milioni di fiorini ungheresi (circa 264mila euro) ogni mille ettari. Se gli stranieri potessero investire il prezzo dei terreni aumenterebbe, ma il loro rendimento calerebbe: questa è la “banale verità  che si nasconde dietro questo zelo nazionalista”, ha scritto sul quotidiano austriaco Die Presse il giurista Peter Hilpod.

Banane ungheresi

I media ungheresi fanno notare che il 58 per cento dei deputati del parlamento di Budapest sono proprietari di terreni, per lo più appaltati a terzi. L’attrattiva della speculazione fondiaria è tale che l’Ungheria rischia di assomigliare ben presto a una ‘repubblica delle banane’, con tanto di reticoli di filo spinato e guardie armate per arginare una criminalità  in rapida espansione, avverte Angyan. Si iniziano a vedere occupazioni sistematiche dei terreni.

“Qui è come in America Latina”, commenta Gà¶rgeteg Ander Balazs, rappresentante dipartimentale del partito di estrema destra Jobbik, la terza forza parlamentare. Balazs si è unito a un gruppo di militanti arrivati per smontare il portone di una delle proprietà  di Carlo Benetton. Perché prendere di mira proprio Benetton, che ha acquistato qui terreni legalmente all’inizio degli anni novanta, prima di affittare quelli dell’ex cooperativa comunista? “Perché è italiano e non ungherese”, risponde secco EnikචHegedà¼s, deputato di Jobbik.

Le autorità  di Budapest hanno giocato anche loro la carta xenofoba, annunciando l’annullamento dei contratti dubbi. “Alcuni contratti”, spiega l’attuale segretario di stato per l’agricoltura Gyula Budai, “sono stati registrati presso un notaio o un avvocato, ma sono privi di data, in attesa della fine della moratoria”. Per completarli e registrare al catasto il nome del nuovo proprietario sarebbe sufficiente aggiungere la data.

A essere presi di mira sono italiani, belgi, tedeschi, slovacchi e soprattutto austriaci: soltanto questi ultimi – a voler dar retta alle autorità  – avrebbero il controllo di due milioni di ettari in territorio ungherese. In realtà , protesta l’addetto austriaco all’agricoltura a Budapest, Ernst Zimmerl, la cifra reale è un decimo di quella indicata.

Harri Sitos svela gli accordi segreti che fanno sparlare le campagne ungheresi: qui 50 ettari della società  forestale statale sono messi gratuitamente a disposizione di un ‘oligarca’ ben introdotto; lì un terreno riservato in linea di principio alla selvaggina è stato seminato a mais. “Tutto ciò non compare in nessun catasto, né in alcun prodotto interno lordo”, fa notare Sitos. “Al  loro  confronto, i Benetton fanno tutto molto legalmente”.

Traduzione di Anna Bissanti

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