Una mediateca al posto dei materassi

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Chi conosce la realtà  carceraria di questi anni e si scontra quotidianamente con le pratiche messe in campo dal Ministero della Giustizia non può che sentirsi preso in giro da un simile documento. La formazione e soprattutto l’istruzione hanno un valore immenso e insostituibile nella vita di ciascuno, e in particolare nella possibilità  di affrancamento da una condizione di emarginazione sociale e culturale che troppo spesso è causa dell’ingresso nel circuito penale. Costituiscono il maggior antidoto alla recidiva e quindi al sovraffollamento carcerario. Del sistema scolastico penitenziario bisognerebbe parlare con una serietà  e con un rispetto che non emergono da un protocollo tanto enfatico quanto ineffettivo.
Oltre a ribadire scontati intenti di principio, quali l’impegno a garantire a tutti il diritto all’istruzione, il protocollo – che bizzarramente scadrà  tra tre anni, come se oltre questo termine i due Ministeri non dovessero più preoccuparsi del sistema di istruzione e formazione per i detenuti – si propone amenità  tipo l’allestimento di laboratori di supporto alle attività  scolastiche o il potenziamento delle mediateche. In un momento in cui in carcere scarseggiano i materassi per dormire, la mediateca è certo una priorità . E dove la allestiranno, posto che ogni spazio dedicato ad attività  collettive sta venendo riempito da corpi accatastati e inghiottito dal sovraffollamento?
Il protocollo si propone anche obiettivi di altra natura, quale quello di effettuare con regolarità  una ricognizione dei bisogni formativi di coloro che stanno in carcere. C’era bisogno di scriverlo? Non basta che, per dettato costituzionale, «la scuola è aperta a tutti» per rendere scontata la ovvia conseguenza secondo la quale si debbano conoscere i bisogni formativi di tutti coloro ai quali la scuola è aperta? Perché la ricognizione non è stata effettuata fino ad ora? Il protocollo sostiene che essa debba servire a «evitare duplicazioni di interventi e dispersioni di risorse». E non si dovrebbe percepire il senso del ridicolo di fronte a questa frase? Gli interventi legati al sistema scolastico in carcere non arrivano mai a essere duplicati. Quasi sempre, soprattutto ai più alti gradi di istruzione, sono invece assenti.
I due ministri firmano un documento che a volte afferma cose pomposamente vaghe, altre volte ne afferma di scontate, altre ancora di irrealizzabili. Tutto questo a fronte di un sostanziale disinteresse e di una sostanziale inefficienza nella prassi delle cose. Senza troppe parole al vento, non sarebbe difficile mettere in piedi una piccola regia centralizzata ministeriale che in non più di due settimane di lavoro disegnasse una pianificazione sostenibile – priva di data di scadenza a tre anni – di corsi scolastici e formativi nelle carceri italiane, senza lasciare nelle mani della buona volontà  del singolo direttore o della singola direttrice il diritto allo studio dei detenuti, senza limitare la scolarizzazione a corsi di alfabetizzazione, prevedendo almeno un polo universitario per ogni Regione.
Noi che con il carcere abbiamo a che fare ogni giorno sappiamo di quante volte si incrocino detenuti esasperati per aver ricevuto l’ennesimo trasferimento senza motivo che ha interrotto un percorso formativo portato avanti con entusiasmo. L’entusiasmo di un detenuto che vuole studiare dovrebbe essere una perla coltivata con dedizione dalla società . Invece la persona viene trasferita come fosse un pacco, senza spiegazione né ragionevolezza.
Dal carcere di Spoleto un’intera sezione composta quasi esclusivamente da ergastolani è stata smantellata dall’oggi al domani. Chi vi viveva da anni è stato mandato qua e là  per l’Italia. Un gruppo di studenti che aveva trovato affiatamento reciproco è stato sparpagliato senza motivo. Ma, se le questioni umane sono troppo sottili per essere afferrate dalle dita rozze del nostro sistema penitenziario, si guardi almeno al danno che ne è derivato dal punto di vista del percorso didattico – anche di altissimo livello – che molti ergastolani di Spoleto stavano seguendo. Quel percorso sbaragliato non è che l’esempio di quanto accade quotidianamente in giro per le carceri italiane. Ma poi si punta sulla mediateca.


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