Una firma per l’Europa

by Sergio Segio | 10 Ottobre 2012 14:15

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Si tratta della nostra nuova moda. Eccoci ormai appassionati all’Europa democratica. Siamo cresciuti imbevuti dello spirito dei padri fondatori: nulla di meglio di un’élite illuminata per guidare la costruzione europea. Mario Monti, il presidente del consiglio italiano, lo ha ribadito di recente. Se cinque anni dopo la guerra i popoli fossero stati consultati su un’organizzazione comune sul carbone e sull’acciaio, i padri fondatori Jean Monnet e Konrad Adenauer non sarebbero andati molto lontano. Per mettere sotto una stessa autorità  i commercianti di cannoni di qualche anno prima si doveva dimostrare un coraggio rivoluzionario, a condizione però che fosse discreto.

I “no” ai referendum popolari lo hanno dimostrato. Il metodo non funziona più. Bisogna inventare una nuova democrazia. Così abbiamo scoperto gli strumenti che il trattato di Lisbona ha messo a disposizione dei cittadini. Dal 1° aprile la petizione è la nuova arma dei popoli. Bisogna riunire sette cittadini di sette paesi diversi e la procedura può essere avviata. Basta raccogliere nell’arco di un anno un milione di firme con una soglia minima nei paesi prescelti: 74.250 in Germania, 55mila in Francia e 4.500 a Malta. Una volta raccolte le firme la Commissione europea riceverà  i sottoscrittori della petizione. Nel caso peggiore si limiterà  ad ascoltarli educatamente; in quello migliore redigerà  una proposta di legge per tenere conto delle loro aspirazioni.

Attenzione però a non lanciarsi troppo presto. Greenpeace aveva organizzato una petizione che aveva raccolto 1,2 milioni di firme per vietare gli ogm in Europa. Presentata alla fine del 2010, la domanda non è stata accettata, ma il caso ha finalmente spinto la Commissione a pubblicare il suo regolamento di applicazione, rendendo la petizione operativa a partire dal 1° aprile.

In un’Europa fondata sul diritto, la libertà  è inquadrata. E da questo punto di vista Bruxelles accetta solo le petizioni che si inseriscono nelle competenze dell’Unione europea (Ue). Questo ha portato al rifiuto di alcune petizioni decisamente originali. Gli oppositori della corride vogliono vietare la tauromachia? Non si tratta di una competenza comunitaria, il benessere degli animali è garantito nel quadro della politica agricola comune e non in quello degli spettacoli crudeli. Si vuole un reddito minimo garantito per tutta l’Europa? Impossibile, l’Unione non è abilitata ad adottare delle leggi sociali vincolanti.

Gli ecologisti vogliono la chiusura delle centrali nucleari? Purtroppo l’energia nucleare – risponde la Commissione – è regolata da una trattato a parte, l’Euratom, che non prevede delle iniziative popolari. Tuttavia il promotore della mozione, l’austriaco Klaus Kastenhofer, non si è scoraggiato e ha presentato una nuova petizione su un’altra base giuridica: la protezione dei consumatori e dell’ambiente. Si attende la risposta di Bruxelles.

Il rischio è di lanciarsi in una guerra di lobby attraverso petizioni di ogni genere, e di rendersi conto che gli ecologisti si oppongono al nucleare, che i federalisti si impegnano per un diritto di voto europeo o che i cattolici combattono la ricerca sull’embrione, per citare solo alcune delle iniziative in corso. Ma non dobbiamo disperare, queste petizioni possono permettere di creare un dibattito transeuropeo, di riproporre quelle domande che i funzionari di Bruxelles, logorati da compromessi estenuanti, non si pongono più.

Gli ingranaggi europei hanno il cosiddetto nottolino: una volta che una legge è stata adottata, nessuno la può cancellare. Questo è il caso della direttiva Uccelli, adottata nel 1979 e alla quale i cacciatori sparerebbero volentieri. Fra le iniziative più importanti una chiede di sospendere il pacchetto di misure sull’energia e sul clima del 2009, accusato di penalizzare il Vecchio continente, in attesa che la Cina, l’India e gli Stati Uniti si impegnino a loro volta. Perché no?

Questa strada delle petizioni sembra più promettente della consultazione dei parlamenti nazionali, a sua volta prevista dal trattato di Lisbona. Di fatto l’Europa ha già  fatto ricorso a questo sistema quando la Commissione ha ritirato una proposta sul diritto di sciopero dei lavoratori all’estero – gli idraulici polacchi, tanto per intenderci. La Commissione infatti aveva ricevuto dei “cartellini gialli” dai parlamenti di 12 paesi. Tuttavia il progetto era nato morto: troppo sociale per i liberali, troppo liberale per la sinistra. In realtà  questo episodio conferma soprattutto che l’Europa sociale è bloccata.

Traduzione di Andrea De Ritis

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