Se mancano i confini dell’illegalità 

by Sergio Segio | 28 Ottobre 2012 8:21

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Non sappiamo quanto di suo il pubblico sarebbe attento. Ma a destare l’attenzione provvedono i media – ci sono addirittura giornali che campano sugli scandali – mentre da un trentennio si avvicendano sulla scena formazioni politiche, anzi antipolitiche, pressoché sprovviste di contenuti programmatici, ma che fanno della moralizzazione della politica il loro cavallo di battaglia.
CONTINUA|PAGINA2 Della questione non poteva non accorgersi, nel suo spietato sforzo non già  di risanamento economico-finanziario – perché il paese è allo stremo – bensì di rieducazione e punizione degli italiani, il governo Monti, che ha promosso una nuova normativa anticorruzione, faticosamente varata al Senato e adesso in transito verso la Camera. Sulle nuove norme ha già  detto abbastanza sulle pagine di questo giornale Livio Pepino. La montagna ha partorito il topolino. In ragione di rapporti politici che sono quel che sono. Il topolino è però unicamente figlio della resistenza di alcune forze politiche desiderose di scongiurare misure che potrebbero colpire alcuni loro esponenti, o c’è dell’altro? 
Capita con ogni probabilità  in tutti i regimi democratici. Ma non consola per nulla. In Italia è comunque accertato che larga parte del paese vive di comportamenti illegali. C’è un mucchio di gente che lavora con onestà , paga le imposte, rispetta il codice della strada e non sparge rifiuti tossici, ma ce ne è molta altra per la quale la trasgressione delle regole è la modalità  con cui partecipa alla vita collettiva. Ovvero che quando le conviene trasgredisce, ritenendo del tutto ovvio, e neanche immorale, calpestare ogni regola. 
Se non che, a esser realisti, il confine tra i primi e i secondi non è affatto netto. Chi non ha mai parcheggiato in seconda fila o ha dimenticato di chiedere la fattura all’idraulico? Per qualche ragione da indagare, il rapporto con le regole è in Italia critico per tutti, ferma restando la presenza di vasti ceti che potremmo definire affaristici che nell’illegalità  prosperano rigogliosamente: imprenditori, professionisti, funzionari pubblici. Cui non mancano, di conseguenza, neppure gli uomini politici che li rappresentino. Stiamo attenti: i politici mafiosi e camorristi esistono non perché mafia e camorra siano abili nell’infiltrare il mondo politico, ma perché sono pezzi ampi e vitali della società , che tengono a inviare propri rappresentanti nelle istituzioni e non faticano a farlo.
Non c’è solo l’industria della violenza. Vi sono intraprese più che blasonate che ricorrono all’illegalità . Finmeccanica è un’azienda di spicco: se saranno confermate le accuse rivolte ai suoi dirigenti, avrebbe condotto i suoi affari in maniera a dir poco disinvolta. Non da oggi sappiamo che la più grande impresa nazionale nel campo dei media si è sviluppata partire dall’occupazione abusiva dell’etere, poi condonata dalla politica. Mentre, tra i fatti recenti, sgradevolissimi odori emana la fusione Sai-Unipol.
Non si tratta pertanto di ripulire un paniere di mele marce. Essendo la trasgressione delle regole una regola piuttosto condivisa della vita associata, il primo compito della politica sarebbe fissare i confini tra legalità  e illegalità , e tra ciò che è moralmente legittimo e ciò che non lo è. I ceti affaristici ricavano dall’incertezza troppi vantaggi per apprezzare una simile mossa. A tal fine in ogni caso non bastano né più rigorose norme repressive, né la mobilitazione morale oggi in auge. Si è già  visto del resto come le stesse formazioni politiche sorte all’insegna della moralità  siano state infiltrate da personaggi discutibili. Quanto più s’improvvisa una nuova formazione politica, tanto più si corre questo rischio.
Purtroppo, tra appalti truccati, occupazioni abusive di suoli o dell’etere, riciclaggio e spregiudicate operazioni finanziarie, evasione fiscale, inquinamento e quant’altro, dal fatturato dell’illegalità  discende parte non piccola della ricchezza del paese. E ciò rende i ceti affaristici politicamente potentissimi. Per quasi un ventennio l’Italia è stata guidata da una coalizione d’interessi che ha fatto della violazione delle regole la sua risorsa principale di ascesa sociale e politica. Nel plebiscitarismo berlusconiano tale coalizione ha trovato la sua rappresentanza, che ha elevato la trasgressione a ideale politico. Ammesso che il plebiscitarismo scompaia, nessuno può illudersi: gli interessi che si sono identificati con esso non scomparirebbero. Piuttosto proveranno a trovare una nuova rappresentanza politica, fors’anche nei dintorni della sinistra, e pure avvantaggiati dalla confusione che suscita il furore antipolitico. 
Solo una coalizione d’interessi simmetrica, che una volta per tutte squalifichi ogni forma di trasgressione e senza reticenze contrasti la coalizione del malaffare anche sul terreno delle politiche, potrebbe scongiurare questa eventualità . Serve una bonifica economica, culturale e politica a larghissimo raggio, che tracci bene i confini e in pari tempo rinnovi il paese, promuovendo opportunità  di lavoro e di crescita, e modalità  di erogazione dei servizi, che rendano la trasgressione diffusa, oltre che illegittima, superflua.

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