ROTTAMAZIONI DEMOCRATICHE
Matteo Renzi è riuscito a cambiare le regole del gioco, ha ottenuto la modifica “ad personam” dello statuto, e da questo strappo con il suo camper tenterà la rottamazione di quel che resta del Pd per sposare, senza se e senza ma, la continuità con l’agenda di Monti. Sventolare questo esito come una scelta autonoma, come la vittoria della democrazia, ha il sapore di una trovata propagandistica.
Nelle stesse ore, come in un faccia a faccia a distanza, con un discorso contro i liberisti al governo del paese, il leader di Sel disegnava l’alternativa al montismo usando frasi a effetto («un new-deal dei beni comuni»), per rimarcare la sostanza di un’alternativa al patto di stabilità , alle regole dell’austerity. Rendendo così evidente, anche all’osservatore più ottimista, la difficoltà di una convivenza in una futura alleanza di governo con chi invece quel patto e quelle regole è pronto a sottoscrivere. Tra i due litiganti, Renzi e Vendola, Bersani difficilmente potrà godere. Diventare il punto centrale di equilibrio tra i giovani duellanti rischia di essere un’illusione con i giorni contati. E forse non è un caso se al programma comune di questo centrosinistra nessuno osa far cenno. Nessuno tranne una sinistra radicale dispersa e diffusa che si tira fuori dal gioco delle primarie e cerca una forma ancora diversa di rappresentanza, un arcipelago di movimenti (riunito ieri a Torino da Alba) che progetta liste “arancioni” sull’esempio felice dei nuovi sindaci, e insiste, assumendo la domanda della Fiom, sulla centralità del lavoro e dell’ambiente come bussola per orientare la scelta dei suoi contenuti e dei suoi candidati.
Questi soggetti politici stanno giocando la loro partita dentro una crisi sociale e uno scenario europeo in continua evoluzione, nel bel mezzo di una devastante perdita di credibilità della politica, di fronte a un elettorato che potrebbe terremotare tutti i partiti sulla scena. Più che dare un’immagine di vitalità e di forza, questo week-end della sinistra ci restituisce tante debolezze. E quel «non ci ammazza più nessuno» suona piuttosto come un ultimo esorcismo.
Related Articles
Il declino della destra vent’anni dopo lo sdoganamento di Fini
ROMA — La destra che non c’è più resiste in una vecchia foto. Fine anni 70, squadra di calcio del Secolo d’Italia, immagine che ha fatto epoca e che racconta molto di una comunità oggi disgregata. In piedi, da sinistra Mauro Mazza, Maurizio Gasparri coi baffi, Francesco Storace con barba e occhiali. E sotto, tra gli «accosciati», Silvano Moffa, Gennaro Malgieri e lui, Gianfranco Fini.
UN’ALTRA TANGENTOPOLI
DALLA Calabria alla Lombardia, come vent’anni fa, stiamo vivendo il tracollo rapidissimo di una classe politica che precipita nel vortice di una Nuova Tangentopoli. Con un’incoscienza che misuriamo anche nella prima reazione di Formigoni all’arresto del suo assessore rivelatosi complice della ‘ndrangheta: «È un fatto grave ma ne risponde Zambetti ». Si resta attoniti di fronte a questo tentativo di minimizzare, da parte di un potente aggrappato alla poltrona, l’«inquinamento della democrazia» denunciato ieri da Ilda Boccassini.
Scissioni, scandali, calo di consensi ora la Lega rischia il Big Bang