Reggio Calabria condannata per mafia

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Finora erano state le inchieste e le sentenze a scoperchiare la pentola dei rapporti tra la ‘ndrangheta e la politica. Indagini e condanne di amministratori collusi che rappresentavano, solo parzialmente, il volto di un potere che va a braccetto col crimine. Adesso c’è la decisione del governo centrale che scioglie per contiguità  con la mafia locale non un piccolo e chiacchierato consiglio comunale, come tante volte è accaduto in passato, ma l’amministrazione di una grande città . Il primo capoluogo di provincia investito da un simile provvedimento: Reggio Calabria, una delle capitali del Sud, densa di cultura e tradizioni popolari, che però nel corso dei decenni è diventata anche capitale della ‘ndrangheta, l’organizzazione criminale più ricca e potente d’Italia e probabilmente d’Europa.
Le investigazioni degli ultimi anni hanno svelato la struttura unitaria dei clan che hanno esteso i loro affari nel Nord della penisola e in molte altre parti del mondo; transazioni economiche per milioni di euro gestite con un piede in Borsa e l’altro sempre ben piantato nella terra d’origine, sulla punta dello stivale. Come la mafia siciliana e la camorra campana, anche la ‘ndrangheta vive di rapporti con la politica, coltivati in quella «zona grigia» dove boss e rappresentanti che dovrebbero essere del popolo siglano accordi di mutuo soccorso, che passano sopra le teste dei cittadini e delle loro esigenze. Hanno bisogno gli uni degli altri e forse da un po’ di tempo è più la politica ad avere bisogno della ‘ndrangheta che non viceversa.
Lo scioglimento del Comune di Reggio, sebbene solo «per contiguità  e non per infiltrazione», come ha specificato il ministro dell’Interno, è un ulteriore segnale. Il più clamoroso. Che equivale, per valore simbolico, alle prime sentenze che hanno riconosciuto l’esistenza delle associazioni mafiose. Arrivato da un governo tecnico, dove di certo gli equilibri interni e gli interessi dei partiti che lo sostengono hanno contato meno che in passato. Ma questa decisione è anche un monito per i governi politici che verranno: d’ora in avanti sarà  più difficile far finta di non vedere le collusioni tra il potere e il crimine.


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