Quello scambio che ridà  vita alle cose

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Disfarti di roba che non ti serve per poi comprarti roba che ti serve. Tutto qui. Se si trova un luogo deputato, si può mettere in atto lo scambio senza passare per il denaro. È quello che è successo alla manifestazione della Coldiretti, al Circo Massimo a Roma, in questi giorni. C’è stato il primo mercato del baratto, ed è stato un successo. Ci sono stati scambi del genere: un quadro per dei salami, una pianta per una bottiglia di vino, e degli scambi di ospitalità  tra un agriturismo e una casa a Roma. Insomma, un modo per continuare a far uso delle cose, per comprarle ma anche per venderle, anche in tempi di difficoltà . Del resto, roba del genere, sul web è già  arrivata da un po’ di tempo, e spinge per prendersi più spazio. I luoghi come eBay sono stati una scoperta non tanto per la possibilità  di acquistare, ma per quella di vendere. Il baratto toglie quel passaggio in più, che è la funzione del denaro.

Il baratto ha una sostanza civile di non poco conto: richiede un luogo condiviso, la fiducia riconoscibile, cioè l’idea che non ci sia qualcosa di strano sotto. Bisogna eliminare quell’elemento di scetticismo che è insito nella proposta di scambio: perché lo vuole? Perché vuole disfarsene? Perché era così entusiasta? Del resto, il denaro non ha mai eliminato lo scetticismo, lo ha reso soltanto a rilascio lento e interiore. Tutti rimuginiamo se un dato oggetto vale o non vale il prezzo. E dopo aver acquistato: valeva il prezzo che ho pagato?
C’è però un altro elemento interessante, che riguarda la condivisione (parola estremamente contemporanea): la qualità ; e se si tratta di cibo, il gusto. In pratica, c’è la possibilità , per persone che cercano la qualità  e possono dare in cambio altra qualità , di continuare a consumare anche in tempi grami, ma soprattutto di continuare a consumare ciò che vale la pena consumare. In questo senso la decrescita può essere davvero felice, perché acquista un valore non anticapitalistico, ma ha l’obiettivo di tenere vive le cose che vale la pena desiderare, consumare, e perfino possedere.
Il baratto, allora, è come un grande negozio dell’usato che può sia combattere lo spreco del consumo, sia alimentarlo senza troppe controindicazioni. È un perfetto scambio di desideri; in fondo, l’unica regola economica esatta, che vale anche di più della decrescita felice, è la seguente: dare qualcosa a qualcuno che la desidera più di te, e prenderti in cambio una cosa che desideri più di lui. Altra misura reale non c’è. E questo fa chiarezza anche sulla domanda che ci si fa sul prezzo di un alimento o di un oggetto desiderato: tutto ciò che soddisfa il desiderio, vale il prezzo di quel desiderio. E se il prezzo del desiderio è troppo alto, come capita sempre più spesso, allora bisogna smettere di contare i soldi nel portafogli, e bisogna cominciare a guardarsi intorno, in casa o in soffitta: in cerca di qualcosa che non si ama più abbastanza, che non si usa più con frequenza. E si può prendere e portarla nel luogo del baratto. Ci sono buone probabilità  di trovare qualcuno che amerà  e userà  quel che voi non amate e usate più. E vi darà  qualcosa in cambio.
Insomma, il tempo del consumo non deve necessariamente finire. Soltanto che può imboccare la strada della logica. E la logica, con il baratto, introduce qualcosa che assomiglia fin troppo all’uovo di Colombo: avere qualcosa in più, nel momento in cui si accetta di avere qualcosa in meno. È l’accumulo che ci perde. E l’accumulo può perderci.


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