Quegli eterni candidati del «sacco» siciliano

by Sergio Segio | 14 Ottobre 2012 8:45

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PALERMO — Prendete il mare che da tremila anni è l’ombelico della storia, mettete nel mezzo un’isola, fatevi maturare i frutti più dolci, adornatela con templi greci che neanche in Grecia e mosaici bizantini che neanche a Bisanzio, collocatevi il vulcano attivo più alto d’Europa a strapiombo su spiagge caraibiche e mari caldi da aprile a novembre. Poi provate a fare fallire tutto questo. La classe politica siciliana c’è riuscita. E ora, non appagata dall’impresa, non saziata da decenni di ruberie, si ripresenta tutta in blocco alle elezioni regionali, nella speranza di tornare nel parlamento più antico e più costoso (pro capite) al mondo, destra e sinistra al riparo di due volti presentabili, per quanto figli di culture estinte: l’ex comunista Rosario Crocetta e l’ex missino Nello Musumeci. Difficile dare torto all’arcivescovo di Palermo Paolo Romeo, quando dice: «Sono mortificato di essere siciliano».
A quanto ammonti il debito della Sicilia, nessuno con esattezza può dirlo. A un certo punto la Regione stabilì di potersi permettere anche un’orca: una vera orca marina, comprata e messa a pensione nei mari del Nord in attesa di essere portata nel parco acquatico di Sciacca, che non si è mai fatto. Un deputato regionale guadagna più della Merkel, un presidente di commissione più del segretario generale dell’Onu Ban-Ki-Moon, il presidente Cascio il doppio di Obama; per tacere del «governatore», cui spetta pure un appannaggio feudale che Giuseppe Drago investì nel parco macchine. Fu condannato in Cassazione e interdetto dai pubblici uffici per tre anni, che ora però sono passati, per cui pure Drago si ripresenta (con il Pid, gli scissionisti dell’Udc fedeli a Berlusconi). I suoi successori, Salvatore Cuffaro e Raffaele Lombardo, si sono dovuti entrambi dimettere per mafia. Il primo è a Rebibbia: tornato smagrito al paese natale per salutare il padre morente, è stato molto applaudito dai concittadini. Il secondo è indagato, in settimana è spuntato un altro pentito che lo accusa.
Non c’è da stupirsi se da elezioni così (si vota il 28 ottobre) non emergerà  un vincitore. Proprio quel che rischia di accadere tra qualche mese alle elezioni nazionali. In Sicilia nessun candidato arriva nei sondaggi al 30%, nessun partito al 20. Né Crocetta né Musumeci avrebbero la maggioranza all’Assemblea, e quindi dovrebbero attendere gli eletti pronti ad accorrere in soccorso del vincitore, oppure accordarsi con il terzo candidato forte, Gianfranco Micciché. Alleato con i finiani e con il partito dei siciliani di Lombardo in una sorta di prova generale di Lega Sud.
Di Vittorio e Mastelloni
Se l’alleanza tra Pd e Udc (più Psi e Api) vince in Sicilia, può pensare di governare l’intero Paese. Se perde, l’esperimento può considerarsi fallito. L’esito è in mano a un uomo massiccio e insieme lieve, capelli insolitamente castani (a 61 anni), tre anelli all’anulare sinistro, timbro di voce ora grave ora acuto. Fisicamente, una via di mezzo tra Peppino Di Vittorio e Leopoldo Mastelloni. Cattolico, comunista, omosessuale. Vendola però non lo appoggia, perché Crocetta scelse prima Cossutta e poi il Pd. Orlando neppure, perché a Palermo ha sostenuto il suo nemico Ferrandelli, e poi in Sicilia c’è posto per una sola primadonna. Il nemico di Rosario Crocetta, invece, è la mafia.
«La polizia mi ha salvato la vita quattro volte, ma le trame e le minacce sono molte di più. Mio padre era un operaio precario, mia madre faceva la sarta in casa. Ho studiato dai Salesiani. Ogni mattina, dai nove ai vent’anni, ho servito la messa delle 7. Poi andavo a scuola a piedi, per risparmiare i soldi del panino. Se pioveva prendevo l’autobus e digiunavo. Mi iscrissi al Pci e subii un processo pasoliniano: volevano cacciarmi in quanto gay. Facevo Scienze politiche quando papà  andò in pensione e io dovetti fare l’operaio all’Eni. Ho girato il mondo, vissuto nel Golfo Persico, imparato le lingue, anche l’arabo. Nel ’90 tornai a Gela. Quando vidi la strage della sala giochi, otto ragazzi di Cosa Nostra uccisi dai rivali della Stidda, decisi di restare».
Educatore. «Un giorno arrivò in casa un ragazzo ad avvertirmi: mi hanno detto di ucciderti, ma non posso fare del male a chi mi ha fatto del bene. È l’unica volta che non ho denunciato un reato». Assessore all’istruzione. «Mi misi in testa di far lavorare i bidelli, gli autisti, i cuochi, tutti. Me la giurarono. Mi salvai nel modo più banale: chiamando la polizia». Sindaco. «Cominciai a licenziare gli infiltrati della mafia: la scorta bloccò un kosovaro che stava salendo da me con un coltello a serramanico. Licenziai un dipendente dell’ufficio tecnico: lo intercettarono mentre commissionava “un lavoro da corleonese” a un killer lituano, Demishenko, poi arrestato nel suo Paese per aver ammazzato un poliziotto. Licenziai Virginia Di Fede, la moglie del boss Emmanuello, e scoprirono un complotto in carcere per uccidermi. Ogni volta che mi sono candidato i partiti non mi volevano, ogni volta ho vinto. Non mi volevano neanche stavolta». Ma, scusi, come le è venuta in mente questa storia del voto di castità ? «Una battuta sciocca. Un tentativo vano di togliermi di torno questa storia dell’omosessualità . Tanto ai siciliani non importa nulla. E comunque la Sicilia me la sposo davvero».
Prove di Lega Sud
Dice Gianfranco Micciché, 58 anni, di sentirsi «il contrario dell’Aids. Se mi conosci, non mi eviti. Il mio problema è che ho un’immagine orribile. Dicono che sono fascista, mafioso, cocainomane….». Lo dicono giustappunto due mafiosi in un’intercettazione. «Io non ho taciuto nulla della mia giovinezza. Ero vicino a Lotta continua. Ho provato le droghe. Ma sono vent’anni che faccio politica per la Sicilia. Finora con Berlusconi. Ora è arrivato il momento di costruire il partito del Sud». Ci ha già  provato il suo alleato Lombardo, senza successo. «Lombardo ha sbagliato a volere organizzare lui un partito nazionale. Invece ogni regione deve fare da sé. La Lega è nata così. In Puglia ci sta lavorando la Poli Bortone, a Roma è interessante il progetto di Alemanno. A Palermo ci sono io. Tutti insieme faremo “Grande Sud”. I partiti nazionali non contano più nulla perché non conta nulla il Parlamento: discutono di Ruby, di coppie di fatto, di queste minchiate, ma non spostano un euro, le finanziarie si fanno a Bruxelles. Il 30% in Sicilia vuol dire il 3% nazionale: saremo determinanti per il governo; proprio come la Lega. Proporrò ai siciliani una rivoluzione: passare dall’autorizzazione al controllo ex post. Oggi se voglio farmi mettere un pannello solare devo passare da 24 enti, compresi l’Enel, i vigili del fuoco e l’aeronautica militare. I miei amici imprenditori del Nord scappano. Deve cambiare tutto». E Berlusconi? «Berlusconi non c’è più. E la prova sono io. Se l’ha lasciato Micciché, una sua creatura… Ma Berlusconi non comanda più: lui aveva indicato me come candidato, e i suoi non gli hanno dato retta. Alfano è un disastro. Il Pdl a Palermo è passato dal 48% all’8. È una storia finita. L’unico che non l’ha capito è Musumeci, che dice cose tipo “se me lo chiede Berlusconi mi taglio il pizzetto”. Crocetta? Una macchietta».
I fasci catanesi
Crocetta è appena stato querelato da Musumeci, il candidato di Pdl, La Destra e Pid, che accusa: «Ha detto che nelle mie liste c’è gente da arrestare, che ho fatto un accordo sottobanco con il Pdl per costruire quattro termovalorizzatori. Ora, io faccio politica da quando avevo 15 anni, ne ho 57, mi hanno rivoltato come un calzino, e non hanno trovato un neo. Anche io sono stato condannato a morte dalla mafia, dopo che sono stato eletto presidente della Provincia di Catania, nel ’94; ma non ne ho mai fatto una bandiera. Ho vissuto nove anni sotto scorta, e sono rimasto in silenzio. Vengo da una terra dove la destra è radicata: l’Msi aveva entrambi i seggi senatoriali di Catania, più quello di Acireale; nel ’71 superammo la Dc. Ma eravamo all’opposizione. Il segretario che mi diede la tessera, lo zio di Salvatore Carrubba, mi disse: “Entrando in questo partito dovrai fare affidamento solo sulle tue forze”». Lei però era con Fini, adesso è con Storace, ed è stato pure sottosegretario del governo Berlusconi. «Alle Europee ebbi più preferenze di Fini, che non la prese bene. Mi sono battuto per regionalizzare il partito, ho perso, me ne sono andato». Autonomista pure Musumeci? «In Sicilia i movimenti autonomisti saranno una cinquantina: un rivendicazionismo sterile e piagnone, una foglia di fico per coprire vergogne ed eludere controlli. Per me autonomia significa responsabilità  morale. Per prima cosa taglierò i 500 mila euro che spettano al presidente della Regione e i 12 milioni ai gruppi. I prossimi anni saranno lacrime e sangue per i siciliani: anche i politici devono fare i sacrifici. Tre famiglie su 10 sono povere. E dire che questa potrebbe essere l’isola più ricca e dolce del Mediterraneo».
In effetti questo ottobre siciliano è dolcissimo, la sera si cena fuori in camicia, i ragazzi fanno il bagno, dopo la pausa estiva si ricominciano a pescare i ricci di mare, si sentono profumi di fiori e di frutti. Poi d’improvviso arriva un acquazzone, basta mezz’ora di pioggia per far saltare i tombini, le strade sono invase da acque salmastre, e l’aria si impregna del lezzo delle fogne.

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