Quanto vale la loro vita?

by Sergio Segio | 2 Ottobre 2012 15:54

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«Più giovane muori sul lavoro, meno vale la tua vita», è questa la conclusione di Graziella Marota sul dramma italiano delle morti sul lavoro. Graziella nel 2006 ha ricevuto al Quirinale l’onoreficenza di “Cavaliere del lavoro”. Suo figlio Andrea Gagliardoni aveva 23 anni quando morì in fabbrica a causa di un macchinario non a norma. Da una parte la medaglia, dall’altra quell’assegno dell’Inail. 1.600 euro di rimborso delle spese funerarie: è tutto ciò che spetta a Graziella secondo legge, perché Andrea non aveva moglie e figli, e non contribuiva al mantenimento dei genitori.

E’ successo ancora e succede tutti i giorni. Lo scorso 19 settembre i genitori di Nicola Cavicchi, che il 20 maggio era morto assieme a Leonardo Ansaloni sotto il crollo del capannone della Ceramica Sant’Agostino in Emilia, hanno ricevuto un assegno dall’Inail. 1.936,80 euro, non un rimborso, come tengono a specificare i funzionari dell’ente assicurativo, ma un assegno per le spese del funerale. Pochi mesi prima, il 24 luglio, era capitato lo stesso alla famiglia di Matteo Armellini, morto sotto il crollo del palco dove avrebbe dovuto suonare Laura Pausini, a Reggio Calabria. Le morti di Matteo e Nicola hanno portato a galla due pesanti realtà : quella della sicurezza dei montatori di palchi, quella dell’agibilità  dei capannoni industriali in Emilia.

Ma dietro queste vicende così diverse esiste una realtà  ben più grave, quella degli assegni Inail alle famiglie delle vittime. Assegni che ti portano a pensare che la vita di tuo figlio valesse davvero meno di duemila euro, perché: «Più giovane muori sul lavoro, meno vale la tua vita». Nicola aveva 35 anni, Matteo 32. Due assegni di 1936,80 euro. «Una cosa scandalosa, una vergogna», commenta Marco Bazzoni, operaio fiorentino da anni attivista per la sicurezza sul lavoro. Opinione condivisa da Carlo Soricelli, autore dell’Osservatorio morti sul lavoro di Bologna, che aggiunge: «La legge è quella, però. Che cosa deve fare l’Inail, mica può violare la legge».

La legge 1124 che regola le assicurazioni per infortuni e morti sul lavoro risale al 1965. Ed è la stessa Inail, con una nota stampa successiva al rimborso di Cavicchi, che scrive di quali fattori non terrebbe conto quella norma vecchia quasi 50 anni: «Di cambiamenti significativi intervenuti sia nel lavoro sia nella famiglia: dalle diffuse condizioni contrattuali iniziali e flessibili, che si traducono in rendite molto basse per i familiari dei superstiti, alle convivenze di fatto di molte coppie non sposate». Funzionari dell’Inail, sindacalisti, familiari delle vittime: sono tutti d’accordo che la legge andrebbe modificata. Eppure nulla cambia. Perché?

I familiari. Dove lo stato latita la società  civile si mobilita. Sono molte le associazioni nate dai familiari dei morti sul lavoro, persone che da anni lottano per un processo e che cercano di aiutare chi come loro ha subito la più grande delle ingiustizie. Roberto e Valeria Toffolutti hanno creato la Associazione nazionale per la sicurezza sul lavoro “Ruggero Toffolutti”, da cui hanno dato vita alla mostra “Non numeri ma persone”. «Volevamo che si vedessero i volti delle persone che muoiono sul lavoro», spiega Valeria. Anche la famiglia Toffolutti ha vissuto una perdita e la beffa dell’assegno funerario Inail: «Che sia una legge vergognosa mi sembra abbastanza normale, no? Non è mai stata adeguata», spiega Valeria. Loro figlio Ruggero morì nel 1998 e: «Ci siamo sentiti dire che facevamo l’associazione per alzare il prezzo del rimborso», racconta Valeria.

A Graziella Marota, dopo la morte del figlio Andrea Gagliardoni, è andata molto peggio. «Venne una persona dell’Inail a casa mia. Poi fui convocata all’Inail del mio paese, Fermo, a firmare moduli su moduli», racconta. Graziella, come molte delle persone che vivono situazioni simili, nei giorni successivi la tragedia è disorientata. Non sta certo pensando ad un rimborso. Eppure si trova a vivere una vicenda che sembra scritta da Kafka: «Mi dissero che dovevo dimostrare come Andrea contribuiva al mantenimento dei genitori, ma non potevo dimostrarlo», continua Graziella. «Dopo alcuni mesi ricevetti l’assegno funerario di 1.600 euro. Fossi stata lucida, e non sotto sedativi, l’avrei riportato indietro». Anche Graziella, come i coniugi Toffolutti, ha creato un’associazione. E i 1.600 euro sono stati poi rimborsati all’Inail dai colpevoli della morte di Andrea, poiché l’ente si era costituito parte civile al processo.

A Gloria Puccetti è andata un po’ meglio. «Non ricordo molto di quei primi giorni dopo la tragedia, ma questo lo ricordo bene», racconta. «Mi chiamò un funzionario dell’Inail per dirmi dell’assegno e mi spiegò tutto scusandosi tantissimo». Anche Gloria ha creato un sito per testimoniare la sua esperienza nel processo per la morte del figlio Matteo Valenti, che aveva 23 anni, e poi il comitato “Noi non dimentichiamo”. «Quando ti muore un figlio l’avvocato dice che la legge ti sarà  vicino, poi scopri che la legge sui rimborsi Inail è del 1965, e che l’omicidio colposo che regola queste morti risale al Codice Rocco del 1930», spiega Gloria. «Il vero miracolo è stato il processo sulla strage della Thyssen, in cui per la prima volta un amministratore delegato è stato condannato a 16 anni per omicidio volontario».

Gli attivisti. Marco Bazzoni è un operaio metalmeccanico di Firenze che da anni si batte per la sicurezza sul lavoro. Qualche mese fa, dopo che la famiglia di Matteo Armellini – l’operaio morto sotto il palco della Pausini – ricevette l’assegno di 1936,80 euro, decise di lanciare una petizione[1] per chiedere al governo di rivedere il Testo Unico 1124/65 che regola i risarcimenti per gli infortuni e le morti sul lavoro. «E’ una vergogna, la legge andrebbe cambiata ora». C’è stata una mozione dell’On. Boccuzzi del Pd, l’ex operaio Thyssen entrato in parlamento. Ma per Bazzoni: «Devono calendarizzarla ancora, e per me ci saranno resistenze». Bazzoni in particolare se la prende con l’Inail. E insiste su un punto: il famoso “tesoretto” di 18 miliardi di euro che l’ente conserva nelle casse del Ministero del Tesoro, e che secondo Bazzoni: «Vengono utilizzati per ripianare i debiti dello Stato».

Per Carlo Soricelli, autore del famoso Osservatorio morti sul lavoro di Bologna, che da anni contesta i dati delle morti sul lavoro proprio all’Inail, la colpa non è dell’Inail ma dei partiti. «Da anni scrivo a consiglieri ed assessori, non mi risponde nessuno», spiega. Eppure il sito di Soricelli è diventato un importante punto di riferimento per giornalisti e lavoratori. «Questo 2012 è stato terribile per le morti sul lavoro, anche per colpa del terremoto, e l’Emilia Romagna ha il record». Per Soricelli il problema è politico: «Non c’è più una rappresentanza dei lavoratori in parlamento». Di modo da cambiare anche la legge 1124/65 «L’Inail non può fare altrimenti, la legge è quella. Bisognerebbe rivolgere un appello al Presidente Napolitano, sempre sensibile a queste tematiche», conclude.

Sindacato e Inail. Anche al sindacato la pensano così. «La legge del 1965 non lascia altro che l’assegno funerario», spiega Sebastiano Calleri, responsabile dell’Ufficio nazionale Salute e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro della Cgil. «Se una persona muore e non ha a carico figli, i parenti più stretti hanno diritto solo a questo». Per Calleri il tesoretto di 18 miliardi dell’Inail è una “speculazione giornalistica” ma: «E’ vero che l’Inail ha parecchi milioni all’attivo. Ma la politica dell’ente è di fare da cassa al governo per alcune emergenze», conclude. Anche per Calleri la responsabilità  è del legislatore. Gianni Dinai, invece, lavora al Civ, il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inail dove sono presenti alcuni membri del sindacato. Anche lui concorda che la legge sia antiquata: «Parlavo col Presidente del Civ, Francesco Lotito, probabilmente chiederemo anche noi pubblicamente che venga modificata questa legge».

«I rimborsi sono stabiliti per legge in maniera tassativa. La nostra competenza è unicamente di tipo accertativo», spiega Luigi Sorrentini, Direttore centrale Prestazioni all’Inail. L’art. 85 del Testo Unico del ’65 stabilisce tassativamente le condizioni: al coniuge del lavoratore morto va il 50 per cento della retribuzione, ai figli il 20 per cento fino al compimento del diciottesimo anno d’età , se sono iscritti all’Università  fino a 26 anni. Una rendita va anche ai genitori della vittima, se questi erano a carico del figlio. «Essere a carico significa che il figlio deve aver contribuito con continuità  al mantenimento dei genitori», spiega Sorrentini. E nelle recenti vicende di Armellini e Cavicchi mancano le condizioni per essere “a carico”. Anche Sorrentini conviene che l’interesse per modificare la legge dovrebbe essere politico: «Noi siamo un ente tecnico. C’è un problema anche con gli indennizzi da danno biologico (perdita di arti, paralisi) introdotti nel 2000, gli importi vengono rivalutati ogni anno ma manca un adeguamento all’inflazione».

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Endnotes:
  1. una petizione: http://www.articolo21.org/2012/08/morti-sul-lavoro-petizione-venga-rivisto-il-testo-unico-11241965-che-regola-il-risarcimento-per-gli-infortuni-e-le-morti-sul-lavoro/

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2012/10/quanto-vale-la-loro-vita/