QUANDO I SOLDI ENTRANO IN POLITICA
La questione è emersa in questi giorni a proposito della notizia della cena di raccolta di fondi per Matteo Renzi organizzata a Milano da Davide Serra, la cui società sarebbe controllata da una holding con sede in un paradiso fiscale caraibico. Il problema è serissimo. E riguarda in modo particolare le primarie (di tutti i partiti e in tutti i Paesi), poiché sono un modo di selezione del personale politico che mette il partito in secondo piano e le personalità del candidato in primo piano.
La campagna per la visibilità del candidato e soprattutto per la conquista del consenso presso fasce importanti della popolazione richiede spese notevoli, molto più alte di quando era il partito a correre, tutto insieme, per il voto. Tenendo anche conto del fatto che, mentre c’è una normativa (buona o cattiva che sia) che regola il finanziamento dei partiti, i candidati alle primarie si trovano a navigare in un mare aperto e libero — anche perché sono individui privati a tutti gli effetti (e ciascuno ha pieno diritto di lanciarsi alla conquista del consenso politico). Il rischio è che, insieme al vincitore, entri in azione e scali il partito anche la cordata di finanziatori che hanno contribuito a lanciare il loro leader. Quindi può essere messa in discussione anche l’identità del partito che viene determinata più dai legami personali con il vincitore che dalle idee. Il pericolo di una scalata privatistica del partito è nelle cose.
Come e chi finanzia il candidato è dunque un problema che va posto subito, a livello normativo e non soltanto etico. E la stampa fa bene il suo lavoro quando si fa segugio che va alla ricerca delle informazioni che i protagonisti tendono a tenere segrete o riservate. Il controllo, non dimentichiamolo, si fa con la legge e con l’opinione; e delle due, è quest’ultima la via più democratica anche perché può anticipare il fatto e contribuire a evitare il danno. Se si vogliono le primarie si deve volere questo tipo di ricerca della verità — non solo la discussione sui programmi (comunque importante), ma anche la conoscenza di tutte le informazioni utili affinché gli elettori si facciano un’idea più compiuta di chi sia e che cosa voglia il candidato: informazioni sulle sue relazioni sociali, per riuscire a completare l’informazione che viene diramata dal suo staff, la quale non è né imparziale né completa.
Perché è importante sapere chi paga? Perché la libertà politica non può essere identificata con la libertà di mettere soldi nelle campagne elettorali, come vogliono le corti americane? Perché le ragioni del mercato sono ragioni serie. È possibile che chi mette soldi propri
lo faccia per mecenatismo – in questo caso desidererà che la sua generosità venga resa nota: il vanto cerca la pubblicità . Ma i soldi possono essere messi come “investimento” – e in questo caso né il finanziatore né il candidato vuole la pubblicità . Eppure è proprio in questo caso che è nell’interesse degli elettore che si sappia da dove vengono i soldi, perché gli investimenti vogliono ritorni, cioè possibilmente leggi e favori.
Quindi, sarebbe opportuno mettere tra parentesi l’entusiasmo per la democrazia partecipata che le primarie rilancerebbero e preoccuparsi subito di comprendere come le primarie si alimentano e si vincono: la propaganda e gli impegni assunti con chi finanzia sono due cose molto diverse. Ecco perché l’opinione pubblica deve sapere chi finanzia i candidati, se un gruppo religioso o una finanziaria o un cittadino benestante impegnano le loro risorse. Negli Stati Uniti questo problema ha cambiato la faccia della politica e reso gli elettori non solo meno potenti ma anche apatici poiché sanno che il loro voto conta solo se fa parte di una cordata potente. Insieme al declino del potere dei cittadini è passato in secondo piano il contenuto politico delle campagne elettorali, perché è strategico per il candidato tenersi libero abbastanza
per potere restituire il favore a chi più si è impegnato per farlo vincere.
Le primarie rappresentano un ingresso massiccio di soldi privati nella politica. Esse quindi possono inaugurare anche nuove inedite forme di corruzione. Quando si dà ad alcuni cittadini più voce che ad altri si lede il fondamento dell’eguale libertà politica. Ecco dunque che la questione di come finanziare le primarie rinvia alla stessa concezione della libertà . Tutti i cittadini, a prescindere dalle proprie possibilità economiche, devono godere di una eguale libertà e non devono avere meno opportunità di altri di far sentire
la propria voce, e di giudicare il candidato in base a quel che propone. Nella democrazia, l’esclusione politica può facilmente prendere la forma del non essere ascoltati perché la propria voce è debole. E il denaro è una forza potentissima.
Le rappresentazioni romantiche delle primarie come veicolo di vera democrazia partecipativa non sono gli approcci migliori per mettere in luce questi problemi serissimi di ineguale partecipazione e di ineguale potere. Prevedere (e temere) questo pericolo è essenziale se si vogliono approntare buone regole.
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