Putin canta sempre vittoria
L’opposizione paga l’essere “contro” senza proposte. In Lituania invece il centrosinistra va C’è poco da dire: Vladimir Putin ha vinto ancora. Le elezioni amministrative svoltesi domenica in oltre quattromila fra villaggi, città , distretti e regioni della Russia hanno visto una netta affermazione del partito del potere, Russia Unita, con pochissime eccezioni non particolarmente importanti. È una vittoria macchiata come al solito da una marea di accuse di irregolarità e scorrettezze, che però difficilmente possono aver davvero rovesciato i risultati; più grave e di maggior impatto sull’esito finale è stato piuttosto il massiccio astensionismo, superiore al 75 per cento dell’elettorato, che ha punito soprattutto i candidati anti-regime ma che getta comunque un’ombra seria sul consenso raccolto dal partito vincitore.
Difficile tracciare un quadro d’insieme da una quantità così grande di elezioni locali, in cui hanno certamente giocato fattori non generalizzabili: di sicuro pare evidente che la fiducia dei cittadini nelle possibilità di un cambiamento per via elettorale è molto calata dopo le contestatissime elezioni politiche di dicembre e presidenziali di marzo; così come è calata la credibilità dei movimenti di opposizione che nel corso degli ultimi dieci mesi hanno ripetutamente riempito le piazze di Mosca, senza però riuscire né ad uscire dal recinto della capitale né ad esprimere una leadership autorevole e un progetto positivo di governo.
Lo si è visto domenica soprattutto nel voto-simbolo di questa tornata, per l’elezione del sindaco di Khimki – il grosso sobborgo alla periferia di Mosca dove per anni è andata avanti una importante mobilitazione popolare contro la corruzione del vecchio sindaco (destituito qualche mese fa) e contro la realizzazione di una nuova autostrada attraverso il bosco compreso nel territorio comunale. A Khimki la candidata “di movimento”, la giovane e battagliera Evgenija Chirikova, leader riconosciuta delle lotte di cui sopra e appoggiata da tutta l’opposizione anti-putiniana della capitale, ha sfidato l’uomo proposto da Russia Unita, l’opaco ma ben ammanigliato Oleg Shakhov, restando però lontanissima dalla vittoria e ottenendo un misero 17 per cento dei voti contro il 47 del suo rivale; anche tenendo conto delle violazioni, irregolarità e persino violenze (in un paio di casi) denunciate dagli osservatori che rappresentavano l’opposizione, pare evidente che Chirikova non avrebbe comunque raggiunto la maggioranza. Secondo i politologi che hanno seguito da vicino la campagna elettorale proprio a Khimki, la sfidante ha puntato troppo sull’essere “contro”, senza riuscire a dare agli elettori la sensazione che avrebbe potuto governare bene la città (che di problemi ne ha tanti, oltre a quello del bosco, pur rilevante).
Russia Unita canta ovviamente vittoria avendo ottenuto, almeno in tutte le votazioni importanti (regioni e città principali) percentuali fra il 38 e il 51 per cento: ma, considerando l’altissimo astensionismo, questi numeri equivalgono a una quota piuttosto piccola dell’elettorato, la più piccola che Russia Unita abbia mai ottenuto nella sua storia di dominio elettorale; il che non è consolante neanche per il Cremlino perché evidenzia comunque un clima di sfiducia e insoddisfazione. Quanto agli altri partiti “parlamentari”, la loro prestazione è stata modesta: appena discreta per i comunisti (oscillanti fra il 10 e il 20 per cento), pessima per i nazionalisti liberaldemocratici (quasi spariti da molte assemblee locali) e per i socialdemocratici di Russia Giusta (già quasi inesistenti prima, e ancor più adesso). Qua e là si è vista l’affermazione di qualche candidato indipendente, senza che questo possa avere qualche significato politico generale.
Tutt’altro (ma paradossalmente per certi aspetti coincidente) il messaggio che nella stessa giornata di domenica hanno dato gli elettori della vicina Lituania: qui si rinnovava metà del Parlamento (70 seggi su 141) con il sistema proporzionale, mentre per l’altra metà si andrà alle urne fra due settimane nei collegi uninominali. La vittoria – che dovrebbe senz’altro essere confermata nel secondo turno – è andata all’opposizione di centrosinistra, che ha capitalizzato sull’esasperazione popolare per la politica di austerità estrema usata dal governo conservatore e liberista di Andrius Kubilius. Gli elettori hanno premiato la coalizione formata dal Labour e dai socialdemocratici, che si propone di smorzare l’austerità imposta dall’Unione europea e dal Fondo monetario anche a costo di rinviare di qualche tempo la prevista entrata nella zona euro. Quasi certamente un nuovo governo verrà formato sotto la guida del socialdemocratico Algirdas Butkevicius, che dovrà presumibilmente allargare la coalizione anche ai populisti del partito Ordine e Giustizia.
Tra le priorità del futuro governo anche una distensione dei rapporti con Mosca, esasperati dal governo precedente: la Russia rimane pur sempre il primo partner commerciale della Lituania nonché il principale se non unico fornitore di energia – un argomento non secondario vista la decisione degli elettori (nel referendum tenuto insieme alle politiche) di rinunciare alla costruzione di una nuova centrale nucleare.
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