Produttività , Cgil frena subito il negoziato

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ROMA — Parte il negoziato sulla produttività . Ma sarà  tutto in salita con la Cgil che già  frena e derubrica l’appuntamento di domani tra Confindustria, le altre associazioni imprenditoriali e i sindacati solo ad un «incontro», non a un tavolo di trattativa. «Sulla produttività  â€” ha detto ieri il leader della Cgil, Susanna Camusso — tutti continuano a dire cose incomprensibili ».
Di certo il governo punta a un accordo nelle prossime due settimane, come ha detto a Repubblica il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera. L’esecutivo, e con lui la Confindustria di Giorgio Squinzi, ritiene ancora possibile che si possa raggiunge un’intesa entro il 18 ottobre, consentendo al premier Mario Monti di presentarsi al Consiglio europeo di Bruxelles almeno con un accordo di massima tra le parti sociali su come rilanciare la produttività , quella che ormai da decenni rappresenta una delle principali ragioni della bassa crescita del nostro Pil («spread produttività », l’ha chiamato Monti). Per il 20 ottobre, però, la Cgil ha convocato a piazza San Giovanni a Roma (luogo storico delle grandi adunate sindacali) una manifestazione per il lavoro e, di fatto, contro le politiche del governo. Improbabile che prima di quella data possa accettare di accelerare il negoziato per la produttività . È un elemento importante, ma non il solo, per comprendere la freddezza della confederazione di Corso d’Italia.
Sul tavolo del confronto, con la legge di Stabilità  che sarà  approvata oggi dal Consiglio dei ministri, il governo (giocatore e non più semplice spettatore del gioco negoziale) metterà  le risorse (tra i 600 e i 900 milioni) per la detassazione del salario di produttività . Era quello che chiedevano sia i sindacati, sia gli imprenditori. E spetterà  proprio a loro decidere come accrescere la quota di retribuzione legata alla performance dell’azienda. E qui cominciano i problemi. Tra Cgil, Cisl e Uil non c’è una posizione comune; diverse sono anche le condizioni economiche e contrattuali tra industriali, artigiani e commercianti. Una cosa è competere sui mercati internazionali, altra è avere un mercato nazionale magari anche protetto. In più, come ha ricordato ieri Squinzi, una delle principali zavorre nel nostro sistema è costituito dall’inefficienza dei servizi della pubblica amministrazione.
Il 28 giugno dello scorso anno, i sindacati e la Confindustria hanno sottoscritto l’accordo per la riforma del sistema contrattuale, la democrazia e la rappresentanza
sindacali: il contratto nazionale perde peso, soprattutto per la parte economica, a vantaggio del contratto di secondo livello. Quel protocollo però non è stato sottoscritto dalle altre associazioni imprenditoriali (Abi a parte) e non è stato ancora applicato. Il governo vorrebbe che le parti facessero un altro passo avanti, di fatto superando l’ultimo automatismo salariale, cioè dell’Ipca (l’indice dei prezzi al consumo armonizzato a livello europeo e depurato dai prezzi petroliferi) introdotto nel 2009 con l’accordo separato (senza la Cgil) sul sistema contrattuale. L’intento è di legare qualsiasi aumento economico, anche a livello nazionale, a parametri di produttività . Progressivamente una perdita di peso del contratto nazionale che pone problemi più alla Cgil che a Cisl e Uil, ma che complica la vita pure delle piccole imprese dove si applica solo il contratto nazionale e non si svolge (anche perché spesso i sindacati non sono presenti) alcuna contrattazione di secondo livello. Così l’allarme è scattato pure tra gli associati di Rete imprese Italia (commercianti e artigiani).
Per complicare ulteriormente il quadro c’è la «pregiudiziale» posta dalla Camusso: il primo punto da affrontare deve essere quello della rappresentanza e della democrazia sindacali. Questione decisiva soprattutto per riportare al tavolo dei contratti la Fiom di Maurizio Landini.


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