Primarie, tocca all’assemblea Ora il duello è sulle alleanze

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ROMA — Nel giorno dell’assemblea dei «Mille», la sfida per Palazzo Chigi entra nel vivo e la guerriglia interna al Pd si sposta sul fronte delle alleanze. Il via libera della commissione Statuto alla candidatura di Renzi agita i capicorrente, i quali leggono nei sondaggi il rischio di una vittoria del sindaco e guardano con terrore alla «rottamazione» che li attende. Si comincia alle 10 con l’inno di Mameli, a porte chiuse: e già  questo dice molto.
La vigilia è stata tesissima, scandita da incontri e trattative sotterranee. Il capo della segreteria del Pd, Maurizio Migliavacca, si è chiuso in una stanza con Roberto Reggi e l’uomo di Renzi ha ribadito le richieste dello sfidante: «No all’assurda tessera dell’elettore», no ai nomi online, no al secondo turno per i soli votanti del primo.
L’emissario di Renzi è riuscito a strappare (per ora) una sola apertura, il fatto cioè che i registri dei votanti vengano sì aperti in anticipo come vuole Bersani, ma con la possibilità  di iscriversi anche all’ultimo minuto e nello stesso gazebo in cui si vota. «Le regole? Ridiamoci su…», ha scritto Renzi su Twitter. Eppure a metà  pomeriggio si era diffuso un certo ottimismo, il clima si era fatto meno irrespirabile ed erano filtrate voci di un accordo tra Bersani e Renzi, sulla necessità  di ammorbidire le norme e allargare la platea degli elettori. L’intesa, pronta a essere ufficializzata, si rompe quando Rosy Bindi smentisce la mediazione: «Non è cambiato niente, le regole sono sempre quelle». E poiché è lei a presiedere l’Assemblea, le sue parole pesano. Non teme un Renzi sulle barricate? «Lui all’Ergife manco c’è… Chi può avere paura delle regole? Nessuno». A sentire i collaboratori del sindaco è Bersani che ha paura delle regole e se l’intesa è rinviata, insinuano, è perché «non tiene la sua maggioranza». Di certo l’uscita della Bindi ha riaperto lo scontro sottotraccia. «Non c’è nessuna trattativa e nessun accordo», assicurano ai piani alti del Pd. Nel vortice di interpretazioni che si rincorrono c’è chi spiega il congelamento dell’intesa come un «patto» tra Bersani e Renzi perché le regole siano modificate in un secondo tempo, al futuro tavolo della coalizione: in quella sede Vendola sarebbe pronto a giocar di sponda, chiedendo norme più «soft».
Ora il problema di Bersani sono i capicorrente. «Rischiamo di perdere per la litigiosità  â€” avverte Beppe Fioroni —. Gli attacchi di Sel per ostacolare la corsa del ministro Riccardi a Roma confermano che Vendola punta a un’alleanza tra Pd, Di Pietro e sinistra radicale. È una follia, su cui Bersani deve mettere le mani». L’attenzione dei delegati potrebbe così spostarsi sul tema centrale delle alleanze. Il veltroniano Walter Verini chiede un programma «condiviso da tutti i candidati» e Marco Follini stoppa l’idea che Di Pietro rientri in coalizione. Ma è il giorno dell’assemblea e l’enigma è il quorum. Il nervosismo è tale che si è deciso di invertire l’ordine dei lavori e la Bindi dividerà  i delegati in settori, per ognuno dei quali ci sarà  uno scrutatore e un funzionario di partito. In caso di resa dei conti, su quanti delegati potrà  contare Renzi? Scorrendo la lista dei delegati eletti con le primarie 2009 — dalla quale ex come Lusi e Penati sono stati finalmente depennati, benché non sostituiti — si scopre che la stragrande maggioranza si candidò con Bersani e Franceschini. I fioroniani minacciano di non votare. Veltroniani, «montiani» e prodiani sono con Renzi. Mentre l’area di Ignazio Marino, una novantina di delegati, «sceglierà  sulla base dei contenuti».


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