by Sergio Segio | 27 Ottobre 2012 8:31
Anche perché, entro la fine dell’anno, 400 mila contratti a tempo determinato (di cui il 40 per cento nella pubblica amministrazione) arriveranno a scadenza e i rinnovi non sono affatto sicuri. Ufficialmente il ministero sta raccogliendo dati sui primi effetti prodotti dalla riforma (che è entrata in vigore il 18 luglio), ma le ipotesi di modifica cui si sta pensando sono già delineate e riguardano solo norme d’ingresso. Tre sono i canali attraverso i quali Fornero intende intervenire: l’intervallo di tempo previsto fra il rinnovo di un contratto e l’altro, il contratto di somministrazione (lavoro in affitto) e quello a chiamata.
Nel primo caso, l’intenzione è esplicita: il ministro l’ha annunciata al Sole 24 ore qualche giorno fa. La riforma in vigore fissa infatti un intervallo di 60 giorni (se la durata del contratto è inferiore ai sei mesi) o 90 (se supera i sei mesi) fra un rinnovo e l’altro. Ora il Welfare starebbe pensando di ridurre la pausa a 25-30 giorni al massimo attraverso un decreto interministeriale (pur se in realtà la questione è già stata risolta grazie ad una norma del decreto Sviluppo che prevede — se c’è l’accordo fra sindacati e impresa — che i termini possano essere modificati e superati).
La seconda modifica riguarda invece i contratti di somministrazione, quelli che prevedono la possibilità di «affittare» per un certo periodo la prestazione di un lavoratore. Oggi tali contratti sono sottoposti alla «regola dei 36 mesi» (dopo tre anni d’impegno fra contratti e rinnovi scatta l’assunzione a tempo indeterminato): il ministero sta pensando di eliminare — in questa tipologia — l’obbligo di passare al posto fisso e di prevedere al suo posto la firma di un contratto a tempo determinato. L’ultimo paletto che Fornero pare intenda togliere riguarda invece il job on call,
il lavoro a chiamata. La riforma prevede che questa forma contrattuale possa essere oggi applicata solo ai giovani under 24 e agli adulti over 55: il governo sta pensando di azzerare questi tetti. «Sono modifiche positive perché rafforzano la flessibilità buona in entrata e favoriscono l’emersione dal lavoro nero — commenta Giuliano Cazzola, Pdl, vicepresidente della Commissione Lavoro — Altre modifiche potrebbero essere introdotte dalle parti sociali attraverso l’accordo sulla produttività ». Preoccupa la scadenza dei 400 mila posti a tempo determinato, di difficile rinnovo — oltre che per la crisi — anche o per i 2 o 3 mesi di pausa introdotti dalla riforma. «Le aziende, per mantenere una maggiore flessibilità , si starebbero indirizzando verso la somministrazione, pur se più onerosa e anche nel settore pubblico c’è molta preoccupazione — spiega Cazzola — si potrebbero invece prorogare le scadenze». Critica su tutti i fronti la Cgil: «Anche sulla decisione di intervenire per legge sulla durata della pausa fra un contratto e l’altro: è cosa inutile e dannosa — commenta Claudio Treves, responsabile delle politiche del lavoro per la Cgil — perché introduce elementi di rigidità superati invece dalla possibilità di trovare un accordo fra le parti».
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