Petrolio italiano, la strada sbagliata

by Sergio Segio | 29 Ottobre 2012 8:52

Loading

Secondo le ultime stime del ministero dello Sviluppo economico, inoltre, ci sarebbero nei nostri fondali marini circa 10,3 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe sufficienti a coprire il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane. Non solo: anche attingendo al petrolio presente nel sottosuolo, concentrato soprattutto in Basilicata[1], il totale delle riserve certe nel nostro Paese verrebbe consumato in appena 13 mesi.

Il gioco vale la candela? Per gli ambientalisti non proprio: “Favorire in questo modo le attività  estrattive in Italia, creando un vantaggio competitivo artificioso scarsamente conciliabile con le regole della concorrenza e il principio di precauzione comunitaria, è una follia visto che i pozzi (pochi e di scarsa qualità ) e le piattaforme off-shore sono localizzate spesso vicino a coste e specchi d’acqua marina di alto pregio ambientale” ha commentato Greenpeace[2].

“Una strategia, per definizione, deve coprire un arco temporale lungo e poi determinare delle tappe intermedie a breve e medio termine. Il documento del Governo, al contrario, ha un raggio d’azione di appena 7 anni, – ha detto Mariagrazia Midulla[3], responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia – punta su petrolio e carbone ed è debole nei confronti di rinnovabili ed efficienza energetica rispetto all’orizzonte europeo”.

Non sono però soltanto gli ambientalisti a mettere l’accento su uno scenario globale intorno agli idrocarburi che spingerebbe ad una revisione di modelli antiquati, invece riproposti dalle strategie governative. Sta cambiando inesorabilmente il quadro dei consumi e il petrolio “italiano” arriverebbe sul mercato troppo tardi. Scrive GreenReport[4]: “In Italia questo processo è particolarmente visibile, concretizzandosi in un sensibile calo dei consumi: il dato più recente diffuso dall’Unione petrolifera, riferito ad agosto 2012, stima una perdita pari a 5,5 milioni di tonnellate, con una diminuzione del 7,5% (-444mila tonnellate) rispetto allo stesso mese del 2011.

«Prepariamoci a dire addio al mercato del petrolio come lo conosciamo oggi – scrive infatti Sissi Bellomo sul Sole24Ore – I primi semi del cambiamento sono già  stati gettati, ma nei prossimi 5 anni assisteremo a una vera rivoluzione. La domanda di greggio, scrive l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) nel suo rapporto di Medio termine, crescerà  praticamente solo a Oriente, mentre l’offerta si svilupperà  in buona parte a Occidente, in particolare negli Stati Uniti, dove la produzione di “shale oil” – il greggio estratto da rocce argillose – continuerà  a crescere, con ripercussioni importanti e ancora non del tutto prevedibili anche sulle rotte del commercio di petrolio». In particolare, l’Aie ha rivisto al ribasso le stime di domanda di petrolio da qui al 2016, a causa del peggioramento dell’economia mondiale e prevede ora un aumento dell’1,2% annuo, contro il precedente 1,3%. Secondo il rapporto, la domanda mondiale di petrolio passerà  da 89,79 milioni di barili al giorno quest’anno a 94,45 milioni nel 2016, circa mezzo milione in meno di quanto stimato nei calcoli precedenti.”

Il Governo poi spera di ridare fiato a un comparto, quello della raffinazione degli idrocarburi, che sta vivendo un periodo di grave crisi[5]. Ma la ricetta sembra sbagliata perché “il trend negativo non rappresenta un problema recente, ma affonda le radici in dinamiche strutturali. Si tratta di un declino inesorabile: nel 2000 l’Italia produceva 136 milioni tonnellate di prodotti raffinati, nel 2007 106 milioni, nel 2010 90 milioni, l’anno scorso 70 milioni. Le cause vanno però ricercate ancora più indietro e riguardano tutta l’Europa. “A partire dagli anni 70 il settore della raffinazione europea ha vissuto di capacità  in eccesso – si legge sul paper ‘Elementi sulla raffinazione europea’, redatto dal World Energy Council Italia – che sono stati bilanciati con forti interventi di ristrutturazione, avvenuti soprattutto a partire dalla metà  degli anni 80”.

Sembra la stessa storia del nucleare: l’Italia è indietro e produce poca energia; occorre correre ai ripari prima che sia troppo tardi e si lanciano nuovi progetti nel campo energetico; affinchè questi progetti siano concretizzati occorrono anni; intanto il quadro mondiale cambia più in fretta. Esito finale: l’Italia resta ancora indietro. Forse questa strada è sbagliata.

Alessandro Graziadei[6]

Post Views: 200
Endnotes:
  1. concentrato soprattutto in Basilicata: http://www.sassiland.com/notizie_matera/notizia.asp?id=18594&t=franco_stella_petrolio_si_prosegue_sulla_strada_della_spoliazione
  2. ha commentato Greenpeace: http://www.legambiente.it/contenuti/comunicati/greenpeace-legambiente-wwf-trivelle-d-italia-arrivo-almeno-70-piattaforme-petro
  3. ha detto Mariagrazia Midulla: http://wwf.it/client/ricerca.aspx?root=31891&content=1
  4. GreenReport: http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=18522
  5. periodo di grave crisi: http://www.rassegna.it/articoli/2012/10/23/93356/petrolio-si-fermano-le-raffinerie-italiane
  6. Alessandro Graziadei: http://www.unimondo.org/content/search?SearchWhere=unimondo&SubTreeArray=1867&SearchText=graziadei

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2012/10/petrolio-italiano-la-strada-sbagliata/