Petrolio italiano, la strada sbagliata

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Secondo le ultime stime del ministero dello Sviluppo economico, inoltre, ci sarebbero nei nostri fondali marini circa 10,3 milioni di tonnellate di petrolio di riserve certe sufficienti a coprire il fabbisogno nazionale per sole 7 settimane. Non solo: anche attingendo al petrolio presente nel sottosuolo, concentrato soprattutto in Basilicata, il totale delle riserve certe nel nostro Paese verrebbe consumato in appena 13 mesi.

Il gioco vale la candela? Per gli ambientalisti non proprio: “Favorire in questo modo le attività  estrattive in Italia, creando un vantaggio competitivo artificioso scarsamente conciliabile con le regole della concorrenza e il principio di precauzione comunitaria, è una follia visto che i pozzi (pochi e di scarsa qualità ) e le piattaforme off-shore sono localizzate spesso vicino a coste e specchi d’acqua marina di alto pregio ambientale” ha commentato Greenpeace.

“Una strategia, per definizione, deve coprire un arco temporale lungo e poi determinare delle tappe intermedie a breve e medio termine. Il documento del Governo, al contrario, ha un raggio d’azione di appena 7 anni, – ha detto Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia – punta su petrolio e carbone ed è debole nei confronti di rinnovabili ed efficienza energetica rispetto all’orizzonte europeo”.

Non sono però soltanto gli ambientalisti a mettere l’accento su uno scenario globale intorno agli idrocarburi che spingerebbe ad una revisione di modelli antiquati, invece riproposti dalle strategie governative. Sta cambiando inesorabilmente il quadro dei consumi e il petrolio “italiano” arriverebbe sul mercato troppo tardi. Scrive GreenReport: “In Italia questo processo è particolarmente visibile, concretizzandosi in un sensibile calo dei consumi: il dato più recente diffuso dall’Unione petrolifera, riferito ad agosto 2012, stima una perdita pari a 5,5 milioni di tonnellate, con una diminuzione del 7,5% (-444mila tonnellate) rispetto allo stesso mese del 2011.

«Prepariamoci a dire addio al mercato del petrolio come lo conosciamo oggi – scrive infatti Sissi Bellomo sul Sole24Ore – I primi semi del cambiamento sono già  stati gettati, ma nei prossimi 5 anni assisteremo a una vera rivoluzione. La domanda di greggio, scrive l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) nel suo rapporto di Medio termine, crescerà  praticamente solo a Oriente, mentre l’offerta si svilupperà  in buona parte a Occidente, in particolare negli Stati Uniti, dove la produzione di “shale oil” – il greggio estratto da rocce argillose – continuerà  a crescere, con ripercussioni importanti e ancora non del tutto prevedibili anche sulle rotte del commercio di petrolio». In particolare, l’Aie ha rivisto al ribasso le stime di domanda di petrolio da qui al 2016, a causa del peggioramento dell’economia mondiale e prevede ora un aumento dell’1,2% annuo, contro il precedente 1,3%. Secondo il rapporto, la domanda mondiale di petrolio passerà  da 89,79 milioni di barili al giorno quest’anno a 94,45 milioni nel 2016, circa mezzo milione in meno di quanto stimato nei calcoli precedenti.”

Il Governo poi spera di ridare fiato a un comparto, quello della raffinazione degli idrocarburi, che sta vivendo un periodo di grave crisi. Ma la ricetta sembra sbagliata perché “il trend negativo non rappresenta un problema recente, ma affonda le radici in dinamiche strutturali. Si tratta di un declino inesorabile: nel 2000 l’Italia produceva 136 milioni tonnellate di prodotti raffinati, nel 2007 106 milioni, nel 2010 90 milioni, l’anno scorso 70 milioni. Le cause vanno però ricercate ancora più indietro e riguardano tutta l’Europa. “A partire dagli anni 70 il settore della raffinazione europea ha vissuto di capacità  in eccesso – si legge sul paper ‘Elementi sulla raffinazione europea’, redatto dal World Energy Council Italia – che sono stati bilanciati con forti interventi di ristrutturazione, avvenuti soprattutto a partire dalla metà  degli anni 80”.

Sembra la stessa storia del nucleare: l’Italia è indietro e produce poca energia; occorre correre ai ripari prima che sia troppo tardi e si lanciano nuovi progetti nel campo energetico; affinchè questi progetti siano concretizzati occorrono anni; intanto il quadro mondiale cambia più in fretta. Esito finale: l’Italia resta ancora indietro. Forse questa strada è sbagliata.

Alessandro Graziadei


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