Non rimborsare i salvataggi Ultima opzione per la Grecia
Ma le istituzioni europee e il Fondo monetario sostengono che la Grecia può riuscire in interventi quattro volte più pesanti in meno tempo; può farlo, secondo loro, dopo sei anni di recessione e un crollo dell’economia del 25% che ha portato al limite della tenuta l’infrastruttura stessa della democrazia.
Quando il senso d’irrealtà arriva a questi estremi, dev’esserci un motivo. Non sono temi dei quali sarà disposta a parlare in pubblico oggi Angela Merkel, nella sua blindatissima visita ad Atene. Ma di certo Antonis Samaras, il suo pari grado greco, spera che la cancelliera ne voglia discutere in privato. È del resto l’argomento che occupa sempre di più le conversazioni di funzionari, ministri, economisti, investitori e banchieri centrali diretti a Tokyo tra pochi giorni per gli incontri del Fmi. In questo gruppo di persone che si conoscono da anni, simili per cultura e persino nel modo di vestire, è diventato quasi convenzionale affrontare l’ultimo tabù: l’insolvenza nei confronti dei governi (e dei loro contribuenti) che hanno prestato il denaro con cui la Grecia vive da tre anni. Sono crediti per 126 miliardi di euro, dei quali una ventina vantati dall’Italia.
I numeri rimandano un’immagine impietosa. Dopo aver rinnegato l’80% del valore effettivo dei vecchi bond in mano gli investitori privati, la Grecia è ancora in situazione intenibile. Con l’economia in avvitamento, il debito pubblico l’anno prossimo si avvicinerà al 180% del Pil. Non esistono vere possibilità che un giorno tutti questi oneri siano ripagati e la richiesta alla Grecia di perseguire tagli di dimensioni inverosimili serve soprattutto a negare questa realtà . Ma prima che collassi anche la struttura istituzionale del Paese, a molti appare inevitabile diluire (di molto) i rimborsi dovuti ai fondi salvataggi, ai governi europei e alla fine ai loro cittadini. Non sembra esserci altra scelta. I crediti vantati dal Fmi sono intoccabili e la Bce sostiene che non accetterà perdite sui bond greci che ha già comprato (ma afferma il contrario in casi di interventi a favore di Spagna o Italia). Gran parte dell’onere di assorbire le perdite greche finirà dunque sui grandi Stati, poco importa se solidi o no: Germania, Francia, Italia, Spagna. È verso di loro e i loro cittadini che l’insolvenza greca appare ogni giorno più inevitabile.
Il default di un governo europeo verso altri Stati in tempo di pace è qualcosa di mai visto prima. I casi nell’ultimo secolo riguardano le riparazioni della Grande guerra imposte alla Repubblica di Weimar o i debiti condonati alle potenze sconfitte dell’Asse nel ’45. Ma un evento del genere oggi potrebbe racchiudere un significato diverso, che interessa da vicino anche la Spagna o l’Italia. Il giorno in cui i leader europei dovessero accordarsi per condonare gli aiuti offerti ad Atene, cadrebbe un’altra delle finzioni mantenute in questa crisi. Agli elettori tedeschi, finlandesi, olandesi (e italiani) era stato detto che i fondi mandati ad Atene non erano doni, ma prestiti destinati a essere rimborsati. In caso di insolvenza, anche parziale, quei bonifici diventano quello che i tedeschi dall’inizio temevano che fossero: trasferimenti a fondo perduto.
Una svolta del genere non può che accrescere la diffidenza degli elettori nel Nord Europa verso qualunque altra richiesta di prestiti. E gli effetti possono innescare un’altra spirale di sfiducia. A meno di un anno dalle elezioni politiche, il governo di Berlino diventerà più riluttante a concedere aiuti a condizioni che ai cittadini tedeschi possano sembrare morbide. Anche il Bundestag, che vincola le scelte di Angela Merkel, vorrà apparire più intransigente di fronte all’opinione pubblica. E la Spagna farà di tutto a non chiedere l’aiuto che le serve, pur di non sottoporsi alle condizioni: Madrid teme che queste non saranno tagliate sulle sue esigenze economiche, ma su quelle politiche dei deputati tedeschi.
Così il veleno della Grecia continua ad agire in Europa: induce la paralisi del sistema, proprio quando tutto iniziava a muoversi.
Federico Fubini
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