by Sergio Segio | 7 Ottobre 2012 16:54
Insieme a Pierangelo Daccò, «mediatore» e «apriporte» nella Regione Lombardia dell’amico e compagno di munifiche vacanze Roberto Formigoni, che è agli arresti dal doppio del tempo di Simone (15 novembre 2011) e che mercoledì scorso è stato condannato in primo grado a 10 anni per concorso nella bancarotta del San Raffaele, Simone è accusato di aver contribuito a deviare il corso di una parte (70 milioni di euro) del fiume di denaro (200 milioni di euro in 10 anni) destinato da una quindicina di delibere regionali all’attività sanitaria del polo pavese della sanità privata Fondazione Maugeri.
Ciò che si percepisce ora dalle 15 pagine della richiesta di proroga — quelle nelle quali i pm attribuiscono a Daccò e Simone il «formidabile potere» di «incidere ancora e illecitamente sulla Regione» grazie al rapporto di «complicità » con Formigoni che da liberi gli consentirebbe di tornare a «condizionare e direzionare» l’attività del Pirellone — è che una delle ragioni è appunto Praga. Nel senso che i tempi supplementari richiesti dall’accusa per le indagini finanziarie hanno a che fare non solo con i già noti siti esotici in Sudamerica e Asia, quanto soprattutto con Praga. Qui ha sede il cuore degli interessi della seconda vita dell’ex politico Simone, che nei suoi interrogatori aveva spiegato di avervi incentrato per alcuni anni le proprie attività di immobiliarista. E ciò che i pm sottolineano è che l’imprenditore non abbia dato le chiavi dei suoi conti e società nella capitale ceca. La Procura in qualche modo è sinora riuscita a «vedere» il tragitto dei soldi a monte di Praga e a valle di Praga (per esempio in Italia e a Londra), ma ancora non a «vedere» se e cosa sia accaduto ai soldi proprio a Praga. Ed è questa, insieme al passaggio al microscopio delle delibere regionali pro Maugeri che possono costituire un «atto contrario ai doveri d’ufficio» compravenduto da Daccò con i quasi 8 milioni di euro in benefit e vacanze a Formigoni, una delle attività prospettate ora dai pm come «indispensabili» per chiedere la proroga della carcerazione preventiva di Daccò e Simone, sulla quale il gip Vincenzo Tutinelli deciderà nell’udienza del 10 ottobre.
L’impressione è che la Procura si orienti comunque a definire le varie posizioni (Formigoni compreso) prima della fine dell’anno. Nel frattempo continueranno le trattative — specie sull’entità dei risarcimenti — con gli indagati che hanno già fatto parziali ammissioni, come l’ex direttore della Fondazione Maugeri, Costantino Passerino, circa la destinazione «a referenti in Regione» di parte dei soldi movimentati da Daccò e Simone. Ed è innegabile che sulla propensione a patteggiare pesi il vento che tira al tribunale di Milano in tema di reati dei colletti bianchi. Basti pensare che, dopo i 10 anni a Daccò mercoledì, l’altro giorno uno degli stessi pm di questa inchiesta, Laura Pedio, in tutt’altro processo ha ottenuto condanne fino a 9 anni di alcuni degli imputati della bancarotta Tecnosistemi. E quanto conti l’aspetto patrimoniale dei risarcimenti lo segnala la non comune decisione della seconda sezione penale del tribunale sugli 80 lavoratori ex Italtel rimasti senza lavoro dopo la cessione del loro ramo d’azienda Carini alla poi fallita Tecnosistemi: come chiesto dai patroni di parte civile Ettore Zanoni e Piergiorgio Weiss, i giudici hanno sanzionato questo trucco, cioè l’espulsione dei lavoratori attraverso il giochetto della discarica aziendale, condannando gli imputati bancarottieri anche a risarcire 10 mila euro a ciascuno degli 80 operai a titolo di danni morali subìti per la perdita del posto di lavoro conseguente alla bancarotta.
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