Nauru, l’isola prigione per i migranti

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Centri di detenzione che assomigliano a quelli presenti anche in Italia solo che sono ubicati in paesi stranieri dove la propria giurisdizione non conta. Così ci si lava due volte le mani, dimenticandosi dei disperati che bussano alle porte di casa e non dovendo neppure rispondere alle proprie leggi che formalmente dovrebbero tutelare i diritti umani.

Così descrive la situazione Il Post: “Chris Bowen, il ministro dell’Immigrazione australiano, ha firmato ieri un provvedimento approvato dal Parlamento per trasferire nell’isola di Nauru e in quella di Manus, nella Papua Nuova Guinea, gli immigrati e i richiedenti asilo che raggiungono l’Australia.

Il nuovo piano sull’immigrazione clandestina dovrebbe essere attivo già  in questa settimana. Si tratta di un provvedimento che integra la legge sull’immigrazione (Immigration Act del 1958) con lo scopo di dissuadere gli immigrati a pagare i trafficanti e affrontare viaggi in mare molto pericolosi per raggiungere l’Australia: dall’inizio dell’anno gli immigrati sono stati 9.859 e negli ultimi due anni ne sono morti in mare 704. Questa norma era stata sospesa nel 2008 dal Partito Laburista, lo stesso che oggi l’ha fatta approvare.

La maggior parte degli immigrati proviene dall’Iran, dall’Afghanistan e dallo Sri Lanka. Viaggiano via mare verso l’Indonesia e da lì raggiungono l’Australia. Non possono rimanere in Indonesia perché il governo indonesiano non si occupa di regolarizzare il loro status e li rimpatria. La legge australiana prevede l’obbligo per l’ufficio immigrati di respingere tutti quelli a cui non viene dato lo status di rifugiato politico: gli immigrati vengono trasferiti nel centro di Christmas Island, un’isola ad ovest dell’Australia, e lì vengono regolarizzati. Ma il centro non è più in grado di sostenere il numero sempre maggiore di quanti raggiungono via mare il paese. Soltanto il ministro, o i suoi delegati, possono decidere di introdurli nel paese per motivi di ordine pubblico.

Nauru è uno stato insulare dell’Oceania a nord-ovest dell’Australia. Già  nel 2001 l’Australia aveva fatto costruire al governo locale un campo d’accoglienza, dietro pagamento di una quota annuale, dove venivano sistemati gli immigrati clandestini che arrivavano via mare e senza permesso, tramite il programma Pacific Solution. Nel 2003 alcuni gruppi di immigrati fecero uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni di detenzione. Il governo australiano sta facendo costruire sull’isola dei nuovi alloggi, anche se per i primi sei mesi gli immigrati alloggeranno nelle tende, che ne potranno accogliere alcune centinaia. Si tratta di una misura a breve termine, ha spiegato Paul Bower, amministratore delegato del Consiglio dei rifugiati australiano”. Il governo australiano ha poi salutato il fatto che una manciata di migranti provenienti dallo Sri Lanka sia ritornata volontariamente al proprio paese dall’isola di Nauru dove era confinata, come una positiva conseguenza della soluzione attuata.

Non è chiaro però quali siano le effettive condizioni dei migranti portati sull’isola. La sezione di Amnesty International dell’Australia ha aperto una petizione online per chiedere conto ai governi dei rispettivi paesi sulla situazione dei bambini, sulla possibilità  di organizzazioni internazionali indipendenti di visitare l’isola e sul perdurare della detenzione.

Per la maggior parte delle persone Nauru è un nome esotico di qualche paradiso tropicale. In rete si trovano per lo più notizie legate al turismo, ad alcune stravaganze dell’esigua popolazione, al fatto che in essa ci sia la più alta percentuale di obesi del mondo. Non si parla delle difficoltà  economiche, della presenza di malattie endemiche. Men che meno degli immigrati cacciati dall’Australia. E così, in pieno oceano, avulsi dall’ambiente circostante, confinati in una piccola isola completamente indifferente o ostile, gli esiliati non possono far altro che manifestare il proprio disagio. E lo fanno a volte con metodi nonviolenti, a volte con la forza. Nel mese di gennaio, riportava la notizia l’ufficio Migrantes della Chiesa cattolica, “L’Australia ha adottato la linea dura contro i richiedenti asilo nel 2001, impiegando la marina per intercettare i boat people e dirottarli verso Nauru o l’isola di Manus in Papua Nuova Guinea. Un gruppo di 35 afgani rifiutano il cibo da 27 giorni, e quattro si sono cuciti la bocca con filo di cotone, affermando che preferiscono morire piuttosto che essere costretti a tornare in patria, dove subirebbero persecuzioni. Lo sciopero della fame a Nauru fa seguito ad una lunga serie di proteste, disordini, evasioni, automutilazioni e tentativi di suicidio nei sette campi di detenzione, cinque nel continente australiano e due nel Pacifico, in cui sono rinchiuse in tutto circa 1200 persone. Amnesty International ed altre organizzazioni per i diritti umani hanno chiesto ripetutamente al governo di Camberra di chiudere il campo di Nauru, perché ai detenuti vengono negati i diritti umani fondamentali e degli standard di vita decenti”.

Il dibattito è dunque molto aperto in quanto, nonostante gli enormi spazi australiani e la bassissima densità  (23 milioni di abitanti per una superficie di 7 milioni e mezzo di km2), la popolazione bianca è da sempre preoccupata dall’arrivo di emigranti soprattutto non occidentali. In questi anni il numero degli arrivi è di fatto diminuito, provocando però una mancanza di manodopera che alla lunga pesa sull’economia. Le questioni in gioco sono molteplici anche se, alla fine, l’Australia sembra privilegiare il suo isolazionismo e gli incentivi ad una immigrazione qualificata.

Piergiorgio Cattani


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