L’utopia senza sbarre

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Due ore di monologo interrotte soltanto da cinque sorsi d’acqua. Una scena claustrofobica come una cella, un quadrato 2 metri per 2 e uno sgabello. Lo spazio fisico e metaforico in cui un detenuto parla con Giuseppe Mazzini mescolando eroiche gesta risorgimentali, slang da penitenziario e poche sentenze del Tractatus di Wittgenstein.
Un monologo circolare, in cui Celestini cammina attorno allo sgabello come la storia gira intorno ai cardini di sempre: l’ingiustizia, la lotta contro l’ingiustizia, la punizione di chi perde. Pro Patria è la storia di una sconfitta, tragica, di tre risorgimenti: quello anarchico e rivoluzionario dei Pisacane; quello delle brigate Garibaldi che dopo il fascismo volevano una Repubblica se non socialista almeno di popolo e di lavoratori; quello del ’68, infrantosi sulla prima bomba in una banca, il 12 dicembre 1969 a piazza Fontana. La strage di stato. Ma lo stato di stragi ne ha fatte tante. Sempre. A centinaia di migliaia. Strage di persone e strage di giustizia. La rivoluzione perciò è governare «senza prigioni e senza processi». Un’utopia che Celestini srotola sul palcoscenico a mitraglia, scivolando qua e là  in digressioni surreali sulle carceri di oggi, fatte di uomini ridotti a infanti che riempiono le «domandine», bollati come «camosci» (i detenuti) o «erbivori» (gli ergastolani).
Già  l’ergastolo. È rivoluzionario, nell’Italia di oggi, scagliare l’arte contro l’ergastolo e contro la prigione. La storia non siamo «noi» (retorica). La storia è di chi vince (realtà ). E questa patria, che da oltre 150 anni è unita sulla carta geografica in realtà  è stata fatta dai perdenti. I rivoluzionari. Cosa c’è di più rivoluzionario nell’Italia di oggi se non criticare il carcere come strumento unico e totale di giustizia sociale, la leva del cambiamento e livella della disuguaglianza tra chi ha e chi non ha. «In galera i ladri» è il programma delle liste elettorali che troveremo presto alle urne.
Anche Celestini, che sulla scena è un ladro di mele che diventa rivoluzionario e scrive un discorso per Mazzini, è contro i ladri. I ladri di futuro e di giustizia però. I re e i papi, gli statisti e i cardinali. Il vero furto è la proprietà . E la storia della Repubblica Romana è un po’ il filo rosso che lega lo spettacolo all’oggi. Ciò che sarebbe potuto essere e ciò che è stato. Destinata alla sconfitta, è annunciata da Mameli ai compagni d’Altitalia con un telegramma che oggi sarebbe un tweet: «Roma, la repubblica, venite». È uno slogan che vorremmo rileggere sui muri prima e dopo la cacciata di Alemanno dal Campidoglio.


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