L’uomo che sussurra
O essere ribattezzati, polemicamente, «La Gestapo di Nixon», definizione cucita addosso ai due tedeschi, Harry Haldeman e John Ehrlichman, che condussero, con i loro consigli sbagliati il Presidente alle dimissioni per il caso Watergate. E loro due in carcere. Ma se i loro nomi sono raramente noti al pubblico, la riservatezza non va letta come connotato sinistro. Pochissimi sapevano, all’epoca, che l’ideatore del “New Deal”, nel nome e nei fatti, il programmadiinterventipubbliciperscuoterel’AmericadallaGrande Depressione, non fu neppure un economista, ma un professore di diritto costituzionale della Columbia University, Raymond Moley.
E colui che partorì l’idea, generosa quanto effimera, della Società delle Nazioni dopo la Grande guerra, non fu il Presidente Wilson, ma un suo oscuro aiutante di campo, il colonnello Edmund House. Di loro, di questi “sussurratori dietro il trono” conosciamo i nomi soltanto a posteriori. Brent Scowcroft, consigliere per la Sicurezza nazionale di George Bush il Vecchio, divenne famoso soltanto nel 1990, quando fu lui, con l’aiuto del pupillo e collega generale Colin Powell, a organizzare la legittima coalizione che sloggiò Saddam Hussein dal Kuwait occupato, ma bloccò ogni ipotesi di occupare l’intero Iraq.
Furono necessari anni perché uno sconosciuto professore di origine tedesca, specialista in storia europea del primo Ottocento, acquistasse notorietà e glamour da supermodel, ma tutta la strategia internazionale dell’America negli anni Settanta, dal Medio Oriente all’Asia, dall’Europa all’America Latina, eliminazione di Salvador Allende inclusa, era figlia sua. Fu l’ultimo consigliere che Nixon — cristiano Quacchero — volle abbracciare, piangendogli sulla spalla e chiedendo — a lui ebreo — di inginocchiarsi e pregare insieme, la notte prima delle dimissioni. Il suo nome era Henry Kissinger, “Super K”. Possono avere idee luminose o disastrose, ma sono loro a elaborare quelle “dottrine” che poi prenderanno le gambe della politica e del potere. Dietro al luccichio della corte kennedyana, “Camelot”, c’erano le parole incantevoli di Ted Sorensen, l’inventore delle frasi celebri («Non chiedetevi che cosa l’America possa fare per voi…»), il percorso storico e politico disegnato da Arthur Schlesinger, la padronanza del mondo giornalistico di Pierre Salinger, la cultura economica di John Kenneth Galbraith. E soprattutto l’intuito del più ascoltato fra i consiglieri di JFK, il fratello Bobby, sistemato al ministero della Giustizia. Una generazione di whiz kids, di genietti giovanissimi, troppo intelligenti per capire che gli acquitrini del Vietnam sarebbero state sabbie mobili.
Non devono essere necessariamente americani, questi emuli di Père Joseph, il frate cappuccino francese che manipolava il cardinale Richelieu che manipolava Luigi XIII e per il quale fu coniata l’espressione éminence grise, dal colore grigio-beige del saio. Quando George W Bush fu eletto presidente, il padre, che ne conosceva la prodigiosa ignoranza di mondo, lo affidò all’ambasciatore saudita, principe Bandar bin Sultan della Casa Saud, perché gli facesse da tutore. Tanto stretto fu il rapporto del principe con l’erede al trono americano che l’ambasciatore fu soprannominato «Bandar Bush». Soltanto il vice presidente Dick Cheney, con la sua banda di neocon ripresi in gruppo dal serbatoio di cervelli ultraconservatori dell’American Enterprise Institute per «ricreare il secolo americano», aveva più potere sul presidente.
Ma anche il vice Cheney aveva la propria eminenza grigia, e grande diffusore di falsi segreti sulle armi irachene bevute dai media, Irve Lewis “Scooter” Libby. Anche lui, come la «Gestapo nixoniana» finito in carcere. Ancora a piede liberissimo, e remuneratissimo, è Karl Rove, la più grigia delle eminenze, che aveva “inventato” George Bush il giovane e lo aveva fatto vincere fra l’incredulità generale, distruggendo il primo avversario, il senatore McCain con calunnie soffiate ai media. Rove, che il giovane allievo Bush chiamava affettuosamente «turd blossom» , fior di stronzo, è uno dei principali manovratori della campagna elettorale di Mitt Romney e potrebbe dunque sbocciare ancora. Talmente intricato e profondo è il sistema delle matrioske, del potere invisibile che a volte neppure i ministri e i consiglieri ufficiali del presidente arrivano fino all’ultima bambolina. Fu il caso del misterioso “Signor Charlie” di Bill Clinton, noto soltanto al servizio segreto votato al silenzio. Eppure abitava proprio di fronte alla Casa Bianca, in una suite dell’hotel Hay Adams, pagata con fondi riservati. Il presidente lo consultava più volte al giorno, per sapere come salvarsi dal cappio del Monicagate e dall’assedio politico-giudiziario dell’impeachment.
Charlie gli suggerì la strategia della “triangolazione”, di parlare a sinistra per governare a destra o, se necessario, parlare a destra per governare a sinistra. Aiutato da un’economia in pieno boom, Clinton scampò alla forca della destituzione. Il segreto su Charlie crollò quando il consigliori segreto si fece notare seminudo in accappatoio sul balcone dell’hotel davanti alla Casa Bianca, sorseggiando champagne accanto a una escort, anche lei in accappatoio aperto. Si scoprì che si chiamava Dick Morris, e aveva lavorato a lungo per il più conservatore fra i pezzi grossi del partito avversario, il repubblicano. Oggi Morris è rimasto con un solo cliente, la rete televisiva di Murdoch, la Fox News, per la quale spara commenti feroci contro Obama e non è preso più molto sul serio. Père Joseph gli potrebbe spiegare che non si può fare l’eminenza grigia in accappatoio bianco.
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