L’OCCASIONE MANCATA

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E soprattutto rischiando di rendere l’“agenda Monti”, termine oggi assai inflazionato, un concetto alquanto nebuloso. Poteva essere una Legge di Stabilità  favorevole allo sviluppo. Per stimolare la crescita oggi il nostro Paese non ha altra scelta che agganciare le aree del mondo che non sono in recessione. Con il mercato del lavoro in costante peggioramento, difficile aspettarsi alcuna spinta dai consumi interni. Per questo serviva una incisiva svalutazione fiscale: una riduzione significativa, di 4-5 punti almeno, delle tasse sul lavoro ottenuta finalizzando a questo scopo i risparmi della spending review, razionalizzando il sistema di deduzioni e detrazioni Irpef e armonizzando le aliquote Iva (senza doverle così aumentare per recuperare gettito), cosa che avrebbe, tra l’altro, permesso maggiore efficacia nel contrasto dell’evasione. Sarebbe stata una Finanziaria di sviluppo senza avere neanche il bisogno di dirlo. Un atto dovuto dopo che in questa legislatura il termine “sviluppo” è stato utilizzato soprattutto per coprire i vuoti di idee e i ritardi nella riforma della pubblica amministrazione: ben tre i decreti sviluppo varati dalla primavera 2011 con cui, di fatto, si sono trovati diversivi ad una seria ed incisiva riforma della Pa, usurpando termini come “semplificazione”, “digitalizzazione” e così via.
Si è invece optato per una timida riduzione dell’Irpef, finanziata in gran parte con un punto di Iva in più. Il gettito Irpef è solo in parte (attorno al 60%) legato al reddito da lavoro dipendente. Dato che le risorse erano limitate, sarebbe stato meglio usarle per ridurre i contributi sociali, ad esempio armonizzando tutte le aliquote contributive a un livello più basso di quello oggi previsto dalle riforme delle pensioni e del lavoro (ad esempio, facendole convergere al 28%). Oppure si potevano introdurre incentivi condizionati all’impiego, destinati ai membri di famiglie povere che accettino lavori poco retribuiti e in grado di aumentare i loro salari netti, una misura che in Germania ha fortemente stimolato la creazione di lavoro e che da noi farebbe aumentare soprattutto l’occupazione femminile. Non si è neanche agito in modo significativo sulla spesa: a regime, come recita il comunicato di Palazzo Chigi, i risparmi della spending review saranno di 3 miliardi e mezzo, cioè attorno all’un per cento delle spese oggetto di scrutinio. Del resto, dallo stesso comunicato si apprende che la spending review non è neanche partita per 200 dei 300 miliardi in principio sottoposti a verifica. Non ci sono le promesse dismissioni di immobili pubblici, ma solo il blocco degli acquisti. Vedremo come verrà  valutato dalla relazione tecnica. Nei tagli si è proceduto una volta di più in modo poco selettivo. La riduzione dei tetti agli acquisti nella sanità  abbassa la quantità  dei servizi offerti ai cittadini, piuttosto che farli pagare di più. Si sono tenuti in piedi strumenti selettivi, come i cosiddetti “salari di produttività ” che si sono mostrati del tutto inefficaci nell’ampliare la contrattazione azienda per azienda. Invece di legare più strettamente salari e produttività , i premi sembrano essere stati solo un modo per favorire i lavoratori delle imprese maggiormente sindacalizzate. L’operazione di sfoltimento del complesso sistema di deduzioni e detrazioni Irpef (una partita da 170 miliardi) è stata fatta anch’essa senza avere il coraggio di scegliere. Anziché eliminare quelle misure che si ritenevano non prioritarie (ad esempio le detrazioni sulle spese di iscrizione dei figli alle palestre), si è introdotta una franchigia di 250 euro e si è posto un tetto di 3.000 euro alle detrazioni. Ci vorrà  del tempo per valutare l’impatto distributivo di queste scelte, ma certo sulla carta rischiano di colpire soprattutto cittadini con redditi bassi e limitata capacità  di spesa.
Certo, la maggioranza che oggi sorregge il governo Monti sta dando un pessimo esempio di sé. Ha portato in Parlamento nei giorni scorsi un disegno di legge che, di fatto, smantella la riforma delle pensioni varata dal governo Monti, rischiando di fare aumentare a dismisura quella platea di lavoratori licenziati e senza copertura che, a parole, dichiara di voler proteggere. E forse era illusorio pensare che un esecutivo tecnico potesse ignorare del tutto l’imminente scadenza elettorale, quando diversi ministri sembrano avere una loro propria agenda politica. Bene allora che il presidente del Consiglio chiarisca, in prima persona, quale è la sua agenda, ciò che dovrà  essere fatto nella prossima legislatura, mettendo nero su bianco, prima del termine del suo mandato, quelle priorità  che il suo governo collegialmente non riesce a definire. Serviranno agli elettori per capire quanto i diversi partiti in lizza si distanziano dal programma di riforme avviato da chi, con la sua credibilità  personale, ci ha sin qui allontanato dal baratro.


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