L’ELOGIO DEL BUON PARTITO
Bersani, già governatore dell’Emilia Romagna: ritorna alle origini, nei luoghi dove è nato e cresciuto. Renzi, presidente di Provincia e sindaco di Firenze: in viaggio per le strade e i borghi d’Italia. Renzi e Bersani. In questa campagna per la candidatura a premier del Pd, hanno entrambi inteso marcare il loro legame – biografico e politico – con l’Italia delle Città e delle Regioni.
Fa strano questa scelta comunicativa, proprio quando il territorio sembra affondare. Oscurato dalle politiche del governo. Perché Regioni, Province e Comuni sembrano divenuti centri – pardon, periferie – di spese utili solo al malaffare. Tanto più dopo gli scandali che hanno travolto il Lazio e la Lombardia, insieme al comune di Reggio Calabria. Così il governo Monti, alla disperata ricerca di risorse e di spese da tagliare, ha dimezzato le province; ha, inoltre, ridotto i poteri delle regioni. Con leggi – e per ragioni – di bilancio. Senza bisogno di giustificare nulla. Politicamente. A tal punto sono ormai squalificati i governi territoriali. Insieme alla politica, i politici e i partiti. Ispirati alla logica degli affari (propri) piuttosto che dagli interessi dei cittadini. Non solo a livello centrale, ma ancor più nei contesti locali. Corrotti e inquinati dalle molteplici mafie che dal Sud si sono propagate nel Nord. Perché ormai tra mafia, politica e amministrazione locale è difficile discernere. Questo è il pensiero comune e dominante. Espresso non solo dalla gente comune, ma dagli stessi esponenti della classe dirigente. Politici compresi. Da ciò lo slogan di successo, in questa fase. La nemesi. La “tabula rasa”. Mentre nel Paese si respira un sentimento antipolitico “senza se e senza ma”. Metà degli elettori non sa “per che” e “per chi” votare. I partiti e lo stesso Parlamento sono delegittimati. Anzi peggio. Deprecati. Lo slogan che va per la maggiore è l’elegia del Nuovo contro il Vecchio. Che non ha lo stesso effetto di vent’anni fa. Soprattutto perché l’abbiamo già sentito risuonare. Vent’anni fa. Così non sorprende il successo di Monti. L’Impolitico. E non sorprende, a maggior ragione, il sostegno alle politiche del governo, che mirano a ridurre lo spazio e il peso dei governi locali.
Tuttavia, dai duellanti che si affrontano alle primarie vorremmo sentire parole chiare sul futuro della politica, del rapporto fra partiti, territorio e società .
Walter Veltroni, a questo proposito, ha offerto un contributo importante. Al dibattito politico e delle primarie. Si è tirato fuori. Non dal partito e dalla politica, ma dal parlamento. Ieri sera, nella trasmissione di Fabio Fazio, ha, infatti, annunciato che non si candiderà alle prossime politiche. Non per adesione alla “retorica della Rottamazione”. Ma per continuare, in altro modo e su altri piani, “l’impegno civile, la battaglia di valori sulla legalità ”. In altri termini: la politica. Mi pare un buon esempio. (Che altri, ben prima di lui, avrebbero dovuto dare). Ma soprattutto, una buona indicazione per il dibattito del Pd. Per Renzi e Bersani. Al di là dell’elegia del Nuovo, oltre alla questione del dopo-Monti (: Monti). Occorre decidere sui luoghi e i modi per “innovare” la politica. E il Pd. Occorre sciogliere l’equivoco. Circa l’origine della delusione e della corruzione che ha coinvolto la politica e i governi locali. Se ciò avviene non è solo — né soprattutto — a causa dei politici, della politica e dei partiti. È, semmai, vero il contrario. Che i partiti, i politici e la politica sono troppo deboli. La loro presenza nella società e sul territorio è troppo fragile. Quasi inesistente. Perché la società e il territorio hanno perduto il contatto con gli eletti. I quali raramente, quasi mai, seguono l’esempio di Veltroni. Anzi, perlopiù smettono di frequentare il territorio e la società . E se le organizzazioni illegali condizionano il voto, a livello locale, è perché la società civile e i partiti non sono capaci di contrastarle. Perché la ‘ndrina e le altre mafie, nel Sud e ora anche al Nord, riescono a raccogliere più voti e preferenze delle organizzazioni politiche, sociali e professionali. Perché non ci sono più partiti di massa, dotati di identità e valori, radicati nel territorio e nella società . Perché lo stesso associazionismo e il volontariato: si sono anch’essi istituzionalizzati. Divenuti, in numerosi casi, servizi pubblici, supplenti e dipendenti rispetto agli enti locali. Come suggeriscono i bilanci delle associazioni, costituiti, in misura rilevante, da contributi pubblici e spese di personale (i “volontari di professione”).
Quanto alle fondazioni “culturali” e “politiche”, sono spesso canali per drenare soldi a fini non sempre “politici” e “culturali”.
A mio avviso, oggi il problema non è l’eccesso di politica e di governo locale. Ma l’esatto opposto. La debolezza della politica, espressa da partiti personalizzati e mediatizzati. Sradicati dalla società e dal territorio. Dove l’associazionismo e il volontariato appaiono sempre più istituzionalizzati.
Per questo, io vorrei più politica e più società . Più politica e partiti nella società . Più società nella politica e nei partiti. Senza professionisti della politica — del sindacato, dell’associazionismo professionale e volontario — “a vita”. Vorrei più volontari veri — in politica e nei partiti. Ma anche nella società e nelle associazioni. Più volontariato nello Stato. E meno Stato nel volontariato. Senza rinunciare al ruolo assunto dalle autonomie territoriali.
In un Paese come il nostro, arricchito e unificato dalle differenze locali, dissolvere le autonomie significherebbe semplicemente dissolvere lo Stato. I suoi elementi e i suoi fondamenti. Senza il territorio, i partiti e il Pd per primo: diventano “liquidi”.
Bersani e Renzi vengono entrambi dal “cuore rosso” dell’Italia (come lo ha definito Francesco Ramella), dove il rapporto fra politica e società era particolarmente forte. Mi aspetto che ci dicano “qualcosa di politico”. La loro idea. Per andare oltre il Berlusconismo. Che è, anzitutto, politica senza territorio. E senza società .
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