L’economia cinese rallenta ancora E tutto il mondo trattiene il fiato
A Pechino sono preoccupati. E non bastano le rassicurazioni dell’Ufficio statistico nazionale, che ha rilevato nel solo mese di settembre un più 7,7%, pari alla media dei primi nove mesi dell’anno. Né tranquillizzano altri indicatori comunque migliori delle previsioni, come l’incremento dei consumi (14,2% in settembre sul 13,2% di agosto) e la maggior produzione industriale (9,2% contro un 8,9% del mese prima). Sono i segnali che i meccanismi che hanno servito la crescita formidabile della Cina necessitano una revisione. Il congresso del Partito comunista dell’8 novembre che rinnoverà la leadership ha dunque su di sé anche quest’ipoteca. Le vibrazioni della lunga frenata cinese si irradiano altrove, com’è ovvio. Non soltanto investendo la relazione con il Giappone, già sconquassata dal confronto fra i rispettivi nazionalismi per le isole contese Diaoyu/Senkaku (crollo delle vendite di auto, produzione rallentata, la joint venture Toyota a Tianjin che si ferma per una settimana). È l’intero reticolo delle economie che sconta gli affanni della seconda potenza mondiale, e non può che essere così se — come ha notato il Fondo monetario — Pechino è il primo o il secondo partner commerciale di 78 Paesi che tutt’insieme generano oltre la metà della ricchezza globale. L’effetto domino risalta con nitidezza nel caso delle materie prime, e l’acciaio ne è un esempio: minor produzione in Cina, calo delle importazioni di minerali ferrosi, crollo dei prezzi, contraccolpi su nazioni che contano sull’industria estrattiva, Australia e Brasile, «colonie» cinesi dell’Africa e Indonesia. Allo stesso modo, un mercato immobiliare in equilibrio instabile su una bolla non ancora domata, con il contemporaneo crollo delle vendite di terreni, tocca una vasta gamma di prodotti e materiali, sia importati sia «made in China». Persino il mercato del lusso risente del ristagno dell’economia. Se non altro, perché la progressiva sofisticazione dei clienti con maggiore disponibilità induce a preferire marchi di nicchia sempre più esclusivi. Una tendenza avviata, che adesso invece anche il Financial Times considera una dinamica in grado di modificare le caratteristiche del mercato cinese. E, dunque, i mercati del mondo.
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