LE FONDAZIONI BANCARIE

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Attraverso di loro, la politica così condiziona i nostri istituti di credito: le nuove aree metropolitane potranno nominare fino a 5 consiglieri nelle fondazioni e da lì entrare nei board delle banche. Chissà , forse qualche politico locale riuscirà  così finalmente a realizzare il suo sogno di avere una banca!
Eppure, nessuno può parlarne. Il grido d’allarme lanciato da un consigliere della Fondazione di Venezia. Riccardo Calimani – storico dell’ebraismo italiano ed europeo – è stato oscurato. Aveva preso carta e penna, scrivendo al Presidente del Consiglio Mario Monti (significativo il fatto che non si fosse rivolto al Ministro del Tesoro, pur competente in materia). Preoccupato per le sorti del paese e indignato per come vanno le cose nelle Fondazioni, Calimani aveva chiesto al Presidente del Consiglio di “associare il mondo opulento e ricco delle Fondazioni di origine bancaria allo sforzo che tutti gli italiani sono chiamati a compiere per risanare il paese e tenere la barca dritta”. Nella sostanza, il consigliere della Fondazione di Venezia riprendeva quanto noi avevamo proposto, in modo inizialmente provocatorio lo scorso luglio (
Repubblica, 28 luglio): usare la dotazione delle Fondazioni per abbattere il debito pubblico e mettere fine in questo modo a quello che a noi sembra un uso estremamente inefficiente e distorto di risorse oggi solo formalmente private ma di fatto di origine e natura pubblica.
Come la lettera spedita mesi fa al New York Times da Greg Smith – un direttore esecutivo di Golman Sachs – aprì una finestra per vedere come opera una grossa banca al suo interno e quali storture la caratterizzino- così la lettera di Calimani getta una luce importante sul mondo delle Fondazioni, su come vengono amministrate e sugli obiettivi che effettivamente perseguono. Come nota Calimani, le ingenti risorse delle Fondazioni sono gestite da “gruppi ristretti, … che alimentano un apparato costoso e che, talvolta, si dimenticano completamente della loro missione originaria per dedicarsi ad avventure che… sono ben lontane dallo scopo pensato in origine”.
La lettera di Calimani non deve perciò rimanere senza risposta. Al fondo, il problema è sempre lo stesso: non si può essere, allo stesso tempo, azionisti delle banche e fondazioni senza scopo di lucro. Occorre separare queste due funzioni. Occorre trovare per le banche azionisti che investano i propri quattrini e che, per questo, hanno tutto l’interesse a valorizzare la banca. Occorre dare alle fondazioni un assetto che consenta di perpetuare nel tempo la loro funzione, proteggendo la dotazione dal rischio che oggi corre essendo una parte cospicua immobilizzata in una sola azienda. Il caso Monte Paschi serva da lezione. Ci auguriamo che il Presidente del Consiglio prenda in considerazione le seguenti proposte che cercano di rispondere al disagio manifestato in quella lettera: 1. Si metta fine alla commistione tra attività  sociali e controllo delle banche, imponendo alle Fondazioni la cessione delle partecipazioni bancarie residue su un arco, poniamo, di due anni. Dato che questa separazione, già  caldeggiata dal legislatore e anche fiscalmente incentivata, non ha trovato seguito nel comportamento di quasi la totalità  delle fondazioni, si utilizzino strumenti maggiormente persuasivi. Si introduca un prelievo del 5% sulla dotazione per ogni anno di ritardo nell’abbassare la quota al livello prestabilito. Questi proventi possono essere usati per abbattere quote di debito pubblico, o ridistribuiti alle Fondazioni che escono dalle banche secondo il piano.
2. Per le stesse ragioni le fondazioni devono uscire dalla Cassa Depositi e Prestiti. L’unico ruolo da esse svolto da quando la Cassa è diventata SpA è stato quello di offrire il fianco, sotto lauta ricompensa, a una operazione di facciata che di fatto consente di portare fuori dal bilancio dello Stato poste che dovrebbero invece essere contabilizzate come debito pubblico. Questo è stato possibile per l’aspirazione, eminentemente politica, che le Fondazioni oggi hanno. La presenza delle Fondazioni nella Cassa pone altri tre problemi. Il primo è che oggi le fondazioni siedono simultaneamente nei consigli delle banche conferitarie e in quello della CdP, concorrente delle prime nel mercato della raccolta e in quello degli impieghi. Sarebbe buona regola interrompere questo conflitto di interesse. La partecipazione delle fondazioni al capitale della CdP configura anche un altro conflitto di interesse, essendo la CdP a maggioranza controllata dal Tesoro che a sua volta esercita la supervisione sulle fondazioni. Non è impensabile che il Tesoro possa chiudere un occhio sui comportamenti delle fondazioni se queste si comportano come desiderato nel consiglio della CdP. Il terzo problema è che le fondazioni esercitano potere di controllo sulle società  a capitale pubblico oggi messe sotto l’ombrello della CdP. Chi nomina, ad esempio, gli amministratori di Terna? Delle due l’una: o le Fondazioni sono entità  private, e allora non dovrebbero avere questi poteri di controllo su società  a capitale pubblico. Oppure le partecipazioni trasferite dal Tesoro alla CdP devono essere collocate sul mercato, rendendo queste aziende a tutti gli effetti società  private. Gli ibridi di ibridi possono generare mostri.
Il vantaggio di queste nostre proposte è che non fanno di tutta l’erba un fascio. Premiano quelle rare eccezioni di fondazioni bancarie che hanno rinunciato al controllo della banca conferitaria per diversificare gli impieghi e che hanno saputo specializzarsi in interventi sul sociale minimizzando i costi di gestione.


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