by Sergio Segio | 30 Ottobre 2012 7:23
PALERMO — La domenica, dopo aver votato a Gela, è andato a pregare davanti alla Madonna delle Grazie. E prima di ripartire per Palermo è passato pure dalla sua parrocchia, Santa Lucia, dove da anni esercita opera di volontariato e di assistenza con gli anziani. Poi, il lunedì, ha atteso con pazienza il consolidamento del risultato elettorale in un rifugio defilato e, all’ora convenuta con i giornalisti, è apparso come un Messia all’angolo tra piazza Politeama e via Libertà : «Io — ha urlato incedendo con voce baritonale nella selva di microfoni che lo accompagnava — sono la rivoluzione e ve lo farò vedere con i primi provvedimenti contro la casta. Io proporrò leggi dalla parte del cittadino e chi ci sta mi segua altrimenti si torna a votare e, a quel punto, vedrete che i siciliani mi daranno il 60% dei consensi».
Eccolo, dunque, l’europarlamentare Rosario Crocetta che prende le misure con gli stucchi e le passamanerie di Palazzo d’Orleans. Il suo cammino, tra sacrestie e sezioni del Partito comunista italiano, inizia nella periferia di Gela dove nasce il l’8 febbraio del 1951 in una casa popolare: padre precario, mamma sarta, tre fratelli più grandi, studi dai Salesiani che nella città del petrolchimico dell’Eni offrono servizi di base alle famiglie degli operai. Rosario serve messa tutte le mattine ma frequenta anche la cellula della federazione giovanile comunista. Il giovane gelese — che intanto prende il diploma di perito chimico e lavora per l’Eni — respira la passione politica anche in casa dove il fratello Salvatore è il primo a farsi avanti fino a diventare parlamentare del Pdci di Oliviero Diliberto.
Poi tocca a lui. Rosario punta sul Comune e nel ’96-97 diventa assessore alla Cultura nella giunta Gallo (Ds). «Mi è subito piaciuto», racconta Loredana Longo che poi diventerà per oltre 15 anni la sua assistente personale: «Quando arrivò in Comune appese un cartello fuori dell’assessorato: “Non si accettano raccomandazioni”. Io andai e lasciai il mio curriculum…». Ma la svolta arriva nel 2002. Dopo la storica sconfitta del 2001, 0 a 61, la sinistra è a pezzi in Sicilia. E a Gela il giovane Rosario «viene mandato al massacro perché è uno che non appartiene alle nomenclature dei partiti», ricorda Loredana: lui però stringe i denti, perde per 500 voti, fa ricorso al Tar e vince.
L’anno successivo si ritrova sindaco di uno dei comuni a maggiore densità mafiosa e subito firma un patto di ferro con il capo del commissariato di polizia di Gela, Antonio Malafarina: il sindaco e lo «sbirro» (che oggi lo segue in questa avventura alla Regione) si fanno vedere insieme, denunciano i collusi con la mafia fino ad arrivare ai piani alti dell’Unione industriali di Caltanissetta.
Poi Crocetta scopre che in Comune lavora la moglie del boss Emanuello che ha vinto il concorso presentando un Isee fasullo: il suo licenziamento è un segnale a tutta la città . Il questore Malafarina ricorda: «Ci siamo subito intesi e la cosa migliore che abbiamo fatto insieme è l’associazione antiracket nella città in cui un commerciante, Giordano, era stato assassinato dalla mafia perché si era rifiutato pubblicamente di pagare il pizzo».
Ma Crocetta non è solo il sindaco antimafia. È anche il paladino dei diritti civili che, con discrezione, dichiara di essere omosessuale. E un politico navigato come Salvatore Cardinale (già democristiano e oggi artefice nel Pd della candidatura di Crocetta) dice che «quella diversità vissuta così intimamente è stata compresa dagli elettori cattolici». I quali, confessa Adriano Frinchi, addetto stampa dell’Udc, «si spellano le mani quando Crocetta cita a braccio i passi del Vangelo». «Ora che mi hanno eletto la mafia può iniziare a fare le valigie», dice con enfasi Crocetta. Sapendo però che lui dovrà continuare a fare un vita blindata: senza andare al cinema o al teatro, senza poter frequentare una spiaggia, obbligato a tenere abbassate le serrande delle finestre per non parlare della libertà negata di affacciarsi al balcone di casa sua.
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