L’antipolitica sbarca tra i banchi “Siamo una generazione arrabbiata e la casta è il nostro nemico”
ROMA — “Nessuna fiducia nella casta”. Ora è uno striscione, ora una maglietta, ora uno slogan lungo i nove cortei che rimettono al centro della scena italiana gli studenti. La casta tutta, non solo quella politica. Gli sbirri di m…, che pure stanno a milletré al mese. I giornalisti terroristi, che pure li raccontano su ogni media, tanto più se sono fotoreporter. Vanno bene se riprendono la polizia che manganella e sono spie se zoomano sul lancio di una bottiglia. Sono minorenni, questa volta, i ragazzi che in un’altra mattina da estate danno l’esordio all’autunno caldo della generazione precaria, sono delle scuole medie superiori. Nel frattempo, visto che il conio Generazione P è del 2010, si sono incattiviti. Si sono riempiti di paura, quindi sono diventati pericolosi. «Mai come adesso la distanza tra la politica e il paese reale è stata tanto evidente», dice Giulio Vasaturo, criminologo della Sapienza di Roma, esperto nell’analisi dei fenomeni di violenza. «In quel vuoto che è venuto a crearsi si stanno già infiltrando raffinatissimi nemici della democrazia. Per evitare scenari incontenibili il governo dovrebbe mediare con le piazze più che con i mercati».
Nella capitale ragazzi con la maglietta “Roma antifa’” accendono fumogeni pungenti. Sugli scudi letterari che difendono la prima fila di manifestanti, sono i book bloc, la cui fama è ormai consegnata ai libri di carta, scendono i manganelli della celere. Molti dei ragazzi di Roma hanno quindici anni e l’iPhone gli ha appena detto che a Torino e a Milano e a Bologna quindicenni hanno sfondato le linee del reparto mobile. «Sfondiamo anche noi», allora. Porta Portese, il mercato dell’usato e del rubato della capitale, è la nuova linea Maginot per i nuovi studenti in strada. Accelerano il passo, adesso corrono, altre manganellate della polizia. Questa volta sui denti, sugli zigomi. Uno di loro, quindici anni appunto, viene trascinato via sull’asfalto, per la maglietta. Due calci alla schiena, poi il vicequestore chiamerà i genitori.
Sono tornati in piazza gli studenti delle metropoli, delle scuole dei centri storici italiani. Come nell’autunno 2008, quando l’Onda s’infranse sullo scontro in piazza Navona “rossi contro fasci”.
Come nell’autunno 2010, quando il movimento anti-Gelmini insorse in piazza del Popolo appena scoprì che il governo Berlusconi era ancora in piedi dopo aver comprato tre deputati di Fli. Quella generazione perse perché le leggi Gelmini sulla scuola e sull’università , contestate sui tetti, passarono in aula. Vinse, però, perché resistette un secondo in più del governo Berlusconi, come aveva promesso.
I quindicenni sotto l’arco di Porta Portese, nella via XX Settembre torinese, quelli che a Milano ora danno l’assalto alla Siae e a Palermo bruciano le schede elettorali, stanno crescendo sotto un governo tecnico che non capiscono e dentro un’Italia in crisi strutturale che li spaventa. Sono arrabbiati e spauriti. E sono organizzati male in strada, visto che sono nuovi all’impresa: scendere in corteo, manifestare. Sembrano fuori controllo, ecco. Berlusconi no, non c’è più. Ora c’è un governo di liberali, di cattolici e di banchieri gradito all’Europa e a Obama e un ministro dell’Istruzione, Profumo, che loro, quindicenni, scambiano per un banchiere. I loro fratelli maggiori sono precari come sotto Berlusconi e il costo dei libri che pure dovrebbero essere tutti digitali è di nuovo cresciuto. I tagli, la spending review, «non li vogliamo più». La legge Fornero aveva promesso di spazzare via le quarantotto precarietà istituzionalizzate dal codice civile, invece gli offre solo un nuovo tirocinio. Il premier Monti, calato dal Vittoriano di Roma, è un vampiro gigante che accompagna la scritta “Baroni”. La casta, i baroni, il governo, i professori. Tutto da sfasciare. I politici, d’altronde, sono tutti uguali: Cota, Fassino.
“No alla tessera del tifoso”, racconta un’altra t-shirt romana, perché prima di venire in piazza si è fatta formazione in curva. Simboli no tav si vedono a sud e a nord, marchio unificante di chi è contro. Quel logo, a Torino, viene portato dagli autonomi di Askatasuna. “Riprendiamoci la scuola e le città ”, si legge. «Non siamo una questione di ordine pubblico, ma se non ci ascoltate lo diventeremo», si grida. I volti di alcuni raccontano come i loro genitori arrivarono qui nell’altro secolo, dalla Cina, dal Perù, dal Senegal. I ragazzi precari sono tornati, la precarietà dei ragazzi è sempre lì. L’autunno sarà lungo.
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