«Alla ‘ndrangheta cinquanta euro a voto»

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MILANO — Nel «capitale sociale» della ‘ndrangheta, dopo imprenditori, bancari e giudici arrestati nei mesi scorsi, ecco ora un pezzo della giunta di Regione Lombardia del presidente Formigoni. L’assessore alla Casa, Domenico Zambetti, 60 anni, è stato arrestato dai carabinieri con l’accusa di aver comprato un pacchetto di 4 mila preferenze, decisivo per la sua elezione con 11.217 voti nelle Regionali 2010, pagando 200 mila euro a due colletti bianchi della ‘ndrangheta: un esponente della cosca Morabito-Bruzzaniti di Africo (Giuseppe D’Agostino, condannato per traffico di droga nell’inchiesta sull’Ortomercato) e un referente del clan Mancuso di Limbadi, il gestore di negozi compro-oro Costantino Eugenio: un tandem che avrebbe pescato anche nel portafoglio di preferenze gestito da Ambrogio Crespi, fratello di Luigi, l’ex sondaggista di Berlusconi condannato a 7 anni per la bancarotta Hdc.

«Devastante che la democrazia sia inquinata», avverte il pm Boccassini. «L’accusa è grave ma riguarda Zambetti», minimizza Formigoni, «o è un abbaglio dei magistrati o ci ha tradito». Zambetti è il quinto assessore arrestato nelle varie giunte di Formigoni, dopo Guido Bombarda (Formazione professionale), Piergianni Prosperini (Turismo), Franco Nicoli Cristiani (Ambiente, Commercio) e Massimo Ponzoni (Protezione civile, Ambiente). E su 80 è il 13esimo (ma diventano 14 già  ieri pomeriggio) consigliere regionale indagato.  Nell’arrestare altri 20 indagati dell’ala militare, il gip Alessandro Santangelo, estensore a Torino della sentenza-pilota Eternit sui morti per amianto, contesta a Zambetti «scambio elettorale politico-mafioso», «concorso esterno in associazione mafiosa» (anche all’arrestato Crespi) e «corruzione» aggravata dall’aver agevolato i clan: un’intercettazione ambientale, disposta dal pm Giuseppe D’Amico nell’auto dei due ‘ndranghetisti usciti da un incontro il 15 marzo 2011 con l’assessore, registra un pagamento di 30 mila euro da parte del politico, che avrebbe anche fatto assumere la figlia di uno dei due ‘ndranghetisti all’Aler, l’ente case popolari, e promesso di indirizzare lavori a coop e ditte dei clan. Che con telefonate e lettere intimidatorie, foto e registrazioni, in fasi altalenanti del rapporto con il politico contavano di richiamarlo all’ordine («ce l’abbiamo in pugno»), pena un traumatico «rimpasto degli accordi». Nelle elezioni 2011 per il Comune di Milano i clan hanno poi appoggiato 300/400 voti sulla giovane candidata Sara Giudice all’esito di incontri con il padre Vincenzo, ex presidente del Consiglio comunale e allora presidente di «Metro Engineering srl», società  della «Metropolitana milanese» controllata dal Comune. Investimento efficace, visto che la giovane, in polemica con Nicole Minetti, concluse con 1.000 preferenze dietro il candidato sindaco Manfredi Palmeri della lista «Nuovo Polo per Milano», e non entrò in Comune solo per i meccanismi elettorali. Due, però, le differenze tra Giudice (indagato per corruzione) e Zambetti. L’ambasciatore ‘ndranghetista gli si presentò con nome falso, come avvocato portavoce di una cordata di professionisti calabresi. E Giudice non pagò i voti, ma avrebbe promesso disponibilità  sugli appalti della metro di Cosenza realizzata da «Metro Engineering». Le cosche cercarono di entrare nel Comune di Rho, dove si terrà  nel 2015 l’Expo. Tramite un medico legato a una candidata di «Gente di Rho – Lega Nord», offrirono lo stesso pacchetto di voti usato per Zambetti in Regione. Ma l’appoggio fu rifiutato dal capolista leghista e candidato vicesindaco Marco Tizzoni, che rifuggì (pur senza denunciarli) «apparentamenti con gruppi strani».


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