La vita delle altre
Stella lucente della scena letteraria d’inizio Novecento, Katherine Mansfield elargisce accensioni di scrittura capaci di tagliare i pensieri come lame. “La felicità è come quando s’inghiotte improvvisamente uno spicchio di sole nel pomeriggio”. Visione economica, ma anche così teatrale. Sensibile alla lezione di Cechov, e mirabile nella facoltà di creare atmosfere sospese, la Mansfield plasma novelle percorse da figure femminili colme di una peculiare intensità , che pulsa sulle pagine pur nel tratto vaporoso della scrittura. I suoi racconti vibrano di leggerezza e di note malinconiche come un violoncello, strumento che la scrittrice neozelandese suonava con grande musicalità , la stessa della sua prosa. KM – così amava siglarsi – riflette l’esigenza assoluta della letteratura. La sua vocazione è un demone che la consuma e la rigenera in una parabola fulminea: nata nel 1888 e morta nel 1923, sparisce dalla faccia della terra nello splendore degli anni. È una farfalla che brucia in un lampo, presa dal fuoco appiccato alle sue ali. Quest’immagine domina il ricordo di Virginia Woolf, amica-nemica, o rivale-complice, la quale contribuì alla diffusione delle sue opere magistrali, che sentiva generate da un’invidiabile armonia espressiva.
L’importanza del suo rapporto con la Woolf è uno degli aspetti che più contribuiscono alla naturalezza dell’approdo a Katherine Mansfield da parte di un’esploratrice di spiriti letterari quale Nadia Fusini, che ha già firmato (tra molto altro) un’originale biografia di Virginia, Possiedo la mia anima.
Ora, con la stessa libertà e profondità di sguardo, l’illustre anglista italiana, raffinata esperta di scritture femminili, si concentra sul fuoco di KM in
La figlia del sole – Vita ardente di Katherine Mansfield, in uscita per Mondadori.
Quell’aggettivo, “ardente”, inserito nel sottotitolo, qualifica bene l’idea della consunzione, dell’annientarsi nella luce, del farsi attrarre dal rogo della precarietà , che caratterizza il cammino di una scrittrice raminga e vagabonda fino all’ultimo, catturata dal viaggio come da un’essenza costitutiva.
Per delinearne la biografia (che in Italia conta un precedente di successo: Vita breve di Katherine Mansfield, di Pietro Citati, 1980), la Fusini inventa una cornice scandita dal dialogo di due figure dai nomi salingeriani: Francis e Zoe, fratello e sorella. Lui è un uomo malato e solitario, il quale intende votarsi a un libro sull’esistenza inquieta di KM. All’adorata sorella, curiosa di nuovi mondi e avventurosamente itinerante tra lingue diverse (di mestiere fa l’interprete), piace ascoltare dalla voce di Francis la narrazione delle vicissitudini di quell’artista spregiudicata e sfuggente, eternamente “fuori luogo”. Le domande di Zoe sulle circostanze di una sorte tanto veloce e movimentata quanto creativamente fertile, danno all’ingranaggio svelto di questo ritratto romanzato, arricchito da fascinose fotografie della diafana eroina – oltre che delle sue persone, dei suoi amici, dei suoi amori, delle sue case – un’identità che corre nel registro unificante della luce e della fiamma.
Accesi e vividi sono i paesaggi della nativa Nuova Zelanda, dove KM resta fino ai sedici anni. Brucia in un’incostante permanenza la sua passione misteriosa per lo scrittore John Middleton Murry, un compagno di vita mediocre, egoista e passivo, incontrato a Londra nel 1912, quando Katherine ha ventitré anni e già due aborti alle spalle. Mali venerei la infettano, fin da giovanissima: conseguenze di una natura promiscua e autodistruttiva, pronta a lanciarsi nelle braccia di strani personaggi. E tra le sue molte infatuazioni, alcune sono declinate al femminile.
Donna contraddittoria, trepidante e vitalissima nella sua fragilità , Katherine si ammala presto di tubercolosi, e prende ad aggirarsi per l’Europa accompagnata dal supplizio del suo “dolore atroce all’ala”, come definisce il proprio polmone. Sempre più ardentemente folle, verso la fine si fa inghiottire dall’energia magnetica e sinistra del santone Gurdjieff, rinchiudendosi nel suo Istituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo, a Fontainebleau, dove morirà in una cella. E anche qui, nella clinica-convento di Gurdjieff, avvampa implicitamente l’idea della fiamma: è come se KM, nota la Fusini, vi fosse andata a cercare il proprio crematorio. O un definitivo posto nell’abbaglio del misticismo, mentre trascrive sul diario una frase di Lewis Wallace: “Al sole va chi morendo pensa al Sole”. Fanciulla innamorata dell’amore, che le respira dentro come una fantasia inestinguibile e condannata all’incompiutezza, Katherine brucia così per l’ultima volta a poco più di trent’anni, restando eterna ragazza in virtù della morte.
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