La Spagna scopre la mafia cinese

by Sergio Segio | 24 Ottobre 2012 16:43

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Neppure nei suoi incubi peggiori la comunità  cinese in Spagna avrebbe potuto aspettarsi un evento più deleterio per la propria immagine dell’Operacià³n Cheqian-Emperador. Per essere un gruppo che ha fatto della discrezione il presupposto stesso del proprio stile di vita – e uno dei suoi punti di forza – l’informazione spiattellata dai media non poteva essere peggiore: storie crudeli su come le gang criminali avrebbero sottratto al tesoro spagnolo 35mila milioni di euro; di violente estorsioni perpetrate dalla banda agli ordini di Gao Ping; di corruzione e di attività  collaterali legate alla prostituzione e al traffico di droga.

Benché non si debba giudicare l’intera comunità  cinese dai comportamenti dei singoli  che la compongono, e benché non tutti i 170mila cinesi che vivono in Spagna possano o debbano essere giudicati in base allo stesso parametro, la capillarità  delle attività  cinesi in Spagna e in ogni altra parte del mondo presenta aspetti che dovrebbero quanto meno invitare a una  riflessione.

Al pari di tutti i migranti, i cinesi lasciano il loro paese al solo scopo di guadagnare. Questa migrazione, però, che in paesi come Francia, Italia e Spagna vive un’escalation febbrile, non si accompagna a una piena integrazione sociale, ma troppo spesso si limita esclusivamente ai contatti di lavoro. Proprio il fatto di  non riuscire a integrarsi nelle società  che li ospitano – difficoltà  ben espressa dal concetto di “Chinatown” – ha contribuito a creare “stati all’interno dello stato”, come dicono parecchi ispettori di polizia, ovvero una sorta di extraterritorialità  cinese nella quale la giustizia o le condizioni stesse di lavoro sono dettate dai cinesi stessi e non dal paese che li ospita.

L’Operazione imperatore ha portato alla luce una rete di riciclaggio di denaro e di evasione fiscale di proporzioni enormi. Nelle operazioni di polizia condotte negli ultimi anni contro il traffico di esseri umani, lo sfruttamento della manodopera e le frodi fiscali spiccano due elementi. Il primo è l’espansione sul territorio spagnolo delle reti criminali cinesi, organizzate a piramide e che prosperano in parallelo nei vari settori. L’operazione di cui stiamo parlando ha consentito di raccogliere le prove nell’ambito dell’import-export, ma è alquanto probabile che le ripercussioni di tali attività  arrivino a colpire anche altri settori nei quali i cinesi sono tradizionalmente attivi, come la ristorazione, i negozi di abbigliamento, le agenzie, il settore immobiliare, i bar e così via.

Il sistema – che abbiamo analizzato anche in altri paesi – funziona più o meno così: l’uomo d’affari cinese “importa” manodopera clandestina tramite i suoi network e gli “snakehead”, trafficanti di esseri umani. In seguito sfrutta questi operai per anni per mandare avanti le proprie attività  (ristoranti, negozi, laboratori), finché il loro debito non è ripagato per intero. Le condizioni di vita e di lavoro imposte a questi lavoratori sono spesso atroci. Il nuovo immigrato, una volta ripagato il debito contratto per essere stato portato nella terra promessa, per essere messo in regola e per ottenere i documenti, in seguito paga le agenzie cinesi controllate da quegli stessi boss che hanno le mani in pasta o che vi partecipano.

Alla fine, il nuovo immigrato contrae un debito con la rete clandestina sotto forma di credito informale per avviare un’attività  in proprio, e in questo modo passa automaticamente di livello dalle fila degli sfruttati a quelle degli sfruttatori. Vendendo pentole o magliette con un margine di guadagno molto esiguo, il nuovo datore di lavoro deve riuscire in qualche modo a ripagare il prestito ottenuto per avviare la sua attività , e quindi ricorre all’importazione di altri migranti che lavorino nella sua azienda, facendoli indebitare e sfruttandoli. Se i settori tradizionali sono già  stati saturati da altri connazionali e il nuovo imprenditore è privo di scrupoli e di paure, può anche spostarsi in settori del tutto illegali, come la prostituzione, il gioco d’azzardo e il traffico di droga.

Il secondo elemento è la diffusione in tutto il mondo di reti che, in origine, sono stranamente molto fitte e concentrate. In Europa, per esempio, la maggioranza degli immigrati cinesi – che si concentrano per lo più in Spagna e Italia – proviene dalla provincia dello Zhejiang e in particolare dalla città  di Qingtian, una regione che si è sviluppata molto rapidamente grazie alle loro rimesse.

Questi migranti, che in origine si trasferivano nei Paesi Bassi e in Francia e in seguito hanno iniziato a dirigersi verso il Mediterraneo, hanno una mobilità  e un’organizzazione eccezionali. Si trasferiscono dove possono trovare lavoro o fare affari, dove possono guadagnare un bel po’ di soldi che consentano loro di smettere di lavorare presto e di tornare in Cina, dove può essere più facile mandare a casa le rimesse e non pagare le tasse.

Il modello di Prato

La Spagna, tra gli ultimi paesi occidentali ad accogliere i migranti cinesi, dovrebbe ispirarsi ai suoi vicini per evitare problemi più seri, promuovere l’integrazione ed eludere situazioni come quelle che affliggono per esempio la città  di Prato, in Italia. In questa cittadina toscana, a una trentina di chilometri da Firenze, le tensioni tra cinesi e toscani sono una costante. Prato produce i tessuti più pregiati d’Europa e i cinesi iniziarono a trasferirvisi negli anni ottanta, assunti dalle aziende italiane a gestione familiare che esportavano stoffe in tutta Europa. In meno di un decennio è nata la prima generazione di imprenditori tessili cinesi, che oggi ha il controllo del 60 per cento del commercio, con oltre 4.800 imprese e una popolazione di quasi 25mila cinesi sul totale dei residenti di 200mila.

La malavita ha prosperato allo stesso ritmo, e oggi Prato è l’epicentro delle attività  criminali di riciclaggio del denaro sporco delle mafie cinesi in Europa. “La proliferazione della criminalità  cinese nella regione è tra le più alte rispetto a tutti i gruppi di immigrati”, ha detto un ispettore della polizia che segue il fenomeno da oltre dieci anni.

A Prato i cittadini locali e i cinesi non hanno niente in comune e vivono in una sorta di apartheid. Gli italiani sono molto ostili verso i cinesi e li accusano di evasione fiscale e di non dare alcun contributo tangibile alla loro città : la stoffa, i macchinari, gli operai e i commercianti sono tutti cinesi. Soltanto il consumatore finale è italiano. Come può dunque trarne beneficio la regione?

Questa generalizzazione offende i cinesi. La politica ha soltanto reso più difficili le cose: nel 2009 è stato eletto sindaco Roberto Cenni, un populista anti-cinese, e le due comunità  sono sempre più lontane tra loro. Non è certo una soluzione a un problema che in Italia come in Spagna dovrebbe indurre i cinesi a una maggiore integrazione – per esempio tramite una redistribuzione dei guadagni con l’assunzione di personale locale – e noi a  una maggiore tolleranza nei confronti di un gruppo etnico la cui presenza nelle nostre società  merita rispetto.

Traduzione di Anna Bissanti

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Endnotes:
  1. : http://www.presseurop.eu/it/content/author/2928251-juan-pablo-cardenal

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