La sovranità  che conta di più

by Sergio Segio | 30 Ottobre 2012 7:27

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La politica si reinventa. Per fortuna.Trova la strada di tematiche ufficialmente ritenute distanti da quelle delegate a rappresentarla nelle sedi istituzionali, e perciò si rivolge a soggetti estranei a quello che viene chiamato “professionalismo politico”; e, di conseguenza, si colloca anche in sedi diverse.Per esempio qui a Torino dove si è svolta in questi giorni la politicissima triplice e concomitante scadenza promossa da Slow Food: il nono Salone del gusto (centinaia di migliaia di visitatori); la quinta assemblea di Terra Madre (migliaia di contadini in rappresentanza della rete mondiale nata nel 2004 e cui oggi aderiscono 135 paesi); il sesto Congresso internazionale di Slow Food (delegati provenienti da 96 paesi). Tema: «La centralità  del cibo, punto di partenza di una nuova politica, di una nuova economia, di una nuova socialità ».
Tanti appassionati dell’agricoltura dentro i tetri spazi del Lingotto, fabbrica dismessa dell’industria per eccellenza, la Fiat, fa un bel vedere: riequilibra il pensiero e rende più facile rendersi conto che il dramma che si prepara è la sparizione della terra, mangiata a bocconi giganti – migliaia di ettari ogni anno (6 milioni di ettari in trent’anni solo in Italia) – dalla cementificazione indotta da industrializzazione e urbanizzazione dissennate. Constatabile a vista d’occhio: fra Lombardia e Piemonte non c’è ormai che un ininterrotto agglomerato di edifici, la campagna ridotta a qualche aiuola. (Di cui le ciminiere spente delle fabbriche chiuse è solo un’altra faccia della crisi).
La nuova rapina dell’Africa
Che la terra sia tornata ad essere oro se ne stanno rendendo conto in tanti che cercano ora di accaparrarsela, investendo come un tempo si faceva col mattone: i cinesi per primi, che pure di spazio a casa loro ne hanno tanto, che stanno comprando l’Africa pezzo per pezzo. Land grabbing, così si chiama la nuova rapina.
Per fortuna è oramai da un po’ di anni che solo pochi dinosauri si azzardano ancora a parlare di Slow Food come del club dei buongustai. La nascita, dal suo grembo, di Terra Madre, la rete di contadini che continuano a produrre senza offendere la natura e facendo barriera conto la forza distruttiva dell’agrobusiness, ha contribuito a dare un colpo decisivo alle interessate accuse rivolte all’associazione fondata nel 1989, per combattere l’invadenza del fast food, da Carlin Petrini, oggi presidente di un’organizzazione diventata internazionale, negli anni ’70-80 consigliere comunale di Bra per il Pdup assieme al suo attuale braccio destro, Silvio Barbero, i più votati fra tutti i consiglieri del partito in Italia. Perché già  allora avevano cominciato a gettare nella nostra cultura iperoperaista il seme fertile della Terra che, avevano capito, era un problema centrale. E in una regione come la loro, fra le Langhe e Barolo, il messaggio era stato capito subito.
Oggi che la coscienza ecologica si è fatta più forte ed estesa è più facile capire il guasto di politiche che allora erano state fatte passare come progresso. Innanzitutto la famosa “rivoluzione verde” avviata dalla Banca Mondiale, una modernizzazione dell’agricoltura del terzo mondo che ha sconvolto le campagne, introducendo le sementi prodotte dalle grandi corporations del grano, merce a buon mercato e perciò mortalmente competitiva con quella locale, ma dotata di un piccolo colossale imbroglio: si tratta di semi sterili, privi dei semi necessari alla successiva semina. Di qui l’indebitamento drammatico dei contadini (solo in India se ne suicidano per debiti dai 200 ai 300 mila l’anno, ma nessuno li conta), i più giovani che scappano verso le città , ingrossando le mostruose immense megalopoli dove sopravvivono mangiando rifiuti e rimanendo inproduttivi.
A chi dice che senza l’applicazione delle moderne tecnologie (non solo la meccanica, ma la chimica e la biogenetica) non si può salvare il mondo dalla fame bisognerebbe rispondere con più forza con i dati raccolti e analizzati dai tanti interventi al congresso di slow food, mostrare la contabilità  di un modo di produrre e di vivere che avvelena gli esseri umani, inquina l’acqua che bevono, l’aria che respirano, producendo danni che riparare sarà  tanto costoso da rendere impossibile. E denunciare lo spreco: oggi si produce cibo per 12 miliardi di persone, ma un miliardo non mangia a sufficienza.
Rispetto agli altri congressi di Slow questo ha mostrato una rete di quadri maturati, documentati, sperimentati, con tanta voglia, hanno detto molti di loro, di rendere sempre più politica la loro azione. Non basta l’azione dal basso, dobbiamo investire di più i centri del potere. Ma politica, e non solo godereccia, era quest’anno anche la folla che si è assiepata al Salone del gusto, accostandosi agli stand dove venivano offerti prodotti inusitati, perché antichi e non in scatola, il contrario delle “merendine”, non solo per assaggiarli ma per informarsi, per assaporare un modo diverso di consumare, e anche di vivere. La diffusione a macchia d’olio dei mercatini contadini nelle nostre città , il «cibo a km zero», sottratto alle inutili e costose peregrinazioni attraverso il mondo di prodotti artefatti dalla conservazione, sono la testimonianza che si cominciano a capire i guasti del mercato.
Giusta retribuzione per i contadini
Costa troppo mangiar buono e pulito? Sì, costa di più. Ma lo slogan di Slow aggiunge un altro aggettivo su cui occorre riflettere: «giusto». Vuol dire che i contadini vanno retribuiti in modo giusto altrimenti scompariranno, abbandoneranno le campagne lasciandole al dissesto e al cemento, e la nostra nutrizione in mano a un gruppo di speculatori che lucreranno anche sulle nostre insorgenti malattie da malnutrizione. Di quanto spendiamo per nutrirci, solo pochi centesimi vanno in tasca a chi lavora i campi. E il consumismo sconsiderato ha stravolto la gerarchia dei nostri piaceri, riempiendoci di inutili gadget e privandoci delle cose buone. Slow ha dedicato le manifestazioni di quest’anno alla mela: la mela di Newton, l’ha chiamata per invitare ad usare la testa nelle nostre scelte alimentari.
Remunerazione giusta: perché da decenni i contadini non sono più pagati equamente per il loro lavoro, strozzati dall’agrobusiness e dai supermarket. In Europa i contadini al di sotto dei 35 anni sono oramai solo il 7 per cento. Ma anche questo è stato interessante al Lingotto: una quantità  di giovani, e un crescente movimento di ritorno ai campi. Ne fa fede anche lo straordinario successo dell’Università  di scienze gastronomiche creata a Pollenzo da Slow food 8 anni fa, ma oggi riconosciuta dallo stato, dove per tre anni si insegna agricoltura, veterinaria, biologia, medicina, storia. Un successo: vi studiano giovani provenienti da 70 paesi diversi, gli stranieri sono oltre il 50 per cento; e pare persino che, una volta laureati, trovino lavoro.
Il cibo è un diritto recita lo slogan di Slow food, e dunque l’alimentazione, come l’acqua, un bene comune. E invece, per l’Onu, è ancora solo diritto economico e sociale (Convenzione del 1966), non umano, mentre non potrebbe essere più chiaro che senza il cibo non c’è sopravvivenza, e dunque non c’è vita. L’acqua, sorella del cibo, ha conquistato questo status nel 2010, ora dovrebbe toccare al nutrimento.
Nella sala del congresso gremita di tutte le razze ci sono i colori di bandiera difficilmente accostate: quella dei delegati della Palestina e quella dei delegati di Israele, quella cinese e quella giapponese, quella cubana e quella americana. Quel che conta, per noi, dice un delegato, è la sovranità  che conta di più: quella alimentare.

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