La sfida di Miodrag

by Sergio Segio | 13 Ottobre 2012 7:38

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Milo Djukanovic, nel corso della campagna in vista delle legislative montenegrine (si tengono domenica 14), ha sempre declinato la proposta, rivoltagli da Miodrag Lekic di duellare sul piccolo schermo. “Non cambierebbe nulla, rispetto a dibattiti simili che ho già  avuto con i suoi datori di lavoro, Milosevic e Kostunica”.
L’ex presidente e primo ministro, che ancora oggi, seppure con la sola carica di capo del Partito dei socialisti democratici (Dps), resta indiscutibilmente – così i più dicono – l’uomo più potente del paese ha anche aggiunto, riporta il sito Balkan Insight, che il Fronte democratico, la formazione di nuovo conio di cui Lekic è il numero uno e che potrebbe ottenere il 18% delle preferenze, divenendo il primo partito dell’opposizione, è fondamentalmente un partito filo serbo. Non basta: Djukanovic ha anche riferito che più che lui dovrebbero essere i suoi consiglieri per la diaspora a discutere con Lekic in tv, soffermandosi sul fatto che l’avversario è stato a lungo all’estero, in questi anni.
Un montenegrino a Roma
In effetti Lekic, originario di Bar, ha soggiornato pochissimo in Montenegro dagli anni ’90 a oggi. È stato nel paese solo quando, tra il 1992 e il 1995, ha ricoperto la carica di ministro degli Esteri. Prima era stato ambasciatore in Mozambico, Lesotho e Swaziland. Dopodiché era stato inviato a Roma, dove rappresentò la Jugoslavia di Milosevic durante il conflitto con il Kosovo. Su quelle vicende ha anche scritto un libro, La mia guerra alla guerra (Guerini e associati, 2006), basato sul diario che tenne durante il conflitto.
Dopo la guerra uscì dal servizio diplomatico, salvo poi essere riconfermato rappresentante diplomatico a Roma da Vojislav Kostunica, dopo la rivoluzione dell’ottobre del 2000 e la conseguente defenestrazione di Milosevic.
L’esperienza diplomatica è terminata nel 2003. Da allora Lekic ha scelto di restare a vivere a Roma con la moglie Lidia e le due figlie, grazie all’offerta ricevuta dalla LUISS, che gli ha proposto una cattedra in Tecnica del negoziato internazionale (Lekic è stato anche docente alla Sapienza).
I rapporti con i potenti
Ora, tornando alle parole di Djukanovic, verrebbe da dire che l’ex primo ministro ha ragione.
In effetti Lekic ha servito sotto Milosevic e Kostunica, vale a dire con chi costrinse il Montenegro all’embargo durante la stagione delle guerre (è anche vero che sulle sponde dell’Adriatico si scelse di non rompere con Belgrado) e con chi, almeno secondo la vulgata, ha cercato di impedire che Podgorica, nel 2006, ottenesse l’indipendenza tramite consultazione referendaria.
Tuttavia Lekic non è mai stato seguace né di Milosevic né di Kostunica. Nel primo caso, come emerge in La mia guerra alla guerra, ha sostanzialmente svolto il mestiere di diplomatico, in una situazione complicata tanto politicamente quanto emotivamente. Lekic, all’epoca, decise di continuare a rappresentare la Jugoslavia, nonostante la contrarietà  alle politiche di Milosevic e alla guerra nel Kosovo, perché con l’incombenza dei bombardamenti Nato e poi con la concreta offensiva dell’Alleanza atlantica, sarebbe stato vile defilarsi.
Quanto al rapporto con Kostunica, si sa poco. Le sue credenziali sono spirate nel 2003, anno della morte di Djindjic. Si sa, invece, che quelli con Djukanovic si sono logorati tempo addietro, proprio mentre Lekic serviva come ministro degli Esteri del Montenegro.
Una lontananza vicina
Era il periodo in cui il Montenegro balzò in testa alle cronache criminali a causa del contrabbando di sigarette e Lekic iniziò a distaccarsi dalla leadership di Podgorica.
Quella è stata l’ultima volta che Lekic ha risieduto in Montenegro. Questo non significa, come vorrebbe indurre a credere la campagna di Djukanovic, che abbia rinnegato la sua patria o che nel corso degli anni non se ne sia interessato alle vicende politiche. Da Roma, l’ex ambasciatore è intervenuto spesso sulle colonne dei giornali di opposizione di Podgorica, criticando il sistema Djukanovic, senza comunque mai scivolare nell’offesa e usando anche nella prosa quel dire e non dire, con cui però si dice tutto.
Periodicamente, poi, Lekic è tornato in patria. D’estate inoltre vi ha sempre trascorso almeno due mesi. In queste occasioni, c’è da credere, ha coltivato contatti, ha tessuto relazioni, ha discusso e ragionato di politica. Ma non era mai emersa una sua ambizione personale a scendere in campo, anche se chi lo conosce bene ha spesso immaginato questa prospettiva, concretizzatasi in estate, quando Lekic ha accettato la chiamata del Fronte democratico.
Perché l’ex diplomatico ha scelto di impegnarsi in prima persona proprio adesso? Viene da pensare che Lekic abbia visto nelle manifestazioni primaverili, guidate dall’attivista della ong MANS Vanja Calovic, e nella crisi economica in cui versa il paese i due fattori che potrebbero permettere un cambiamento, scalzando dal potere Djukanovic e i suoi. Lekic, davanti alla dinamicità  mostrata dalla società  civile e alla stagnazione economica-politica, ha dunque smesso i panni da stratega, lasciando le retrovie, schierandosi e rispondendo all’offerta del Fronte democratico, che forse ha visto in lui una sorta di Monti montenegrino: distaccato, competente, mai sopra le righe e con credibilità  internazionale.
Montenegrino e jugoslavo
Miodrag Lekic e il Fronte democratico sono una proiezione serba in terra montenegrina, hanno detto Djukanovic e i suoi collaboratori. Esagerato. Lekic non è filo-serbo, ma non è neanche anti-serbo. Ritiene che Podgorica non possa non dialogare, commerciare e fare accordi con Belgrado. Come ritiene che il rapporto speciale tra il Montenegro e la Serbia debba allargarsi a tutta l’area balcanica.
Lekic, a suo tempo uno jugoslavista convinto (si legga In morte della Jugoslavia, Limes 6/03), pensa che il tessuto di rapporti familiari, linguistici, culturali, economici e commerciali creato dall’esperienza jugoslava abbia lasciato in eredità  una dote e che sia compito delle leadership della regione coglierla e valorizzarla, dopo una lunga parentesi segnata da piccole autarchie. Talmente piccole che persino le vittorie tennistiche di Novak Djokovic vengono strumentalizzate politicamente. Tempo fa, a quanto pare, saltò fuori una sorta di velina con cui le autorità  di Podgorica consigliavano ai giornali di non fare titoli troppo urlati dopo le vittorie del grande tennista.
Lekic detesta queste cose. Secondo lui Djokovic è sì un talento serbo, ma va visto come un esempio di riscatto, tramite lo sport, che può valere in ogni angolo dei Balcani. Dunque va sostenuto. A proposito: Miodrag Lekic è un ottimo giocatore di tennis. Al circolo dei diplomatici di Roma, dove ha vinto qualche buon torneo, ne sanno qualcosa.
* Osservatorio Balcani e Caucaso

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