La produttività , il tempo e la confusione di Squinzi

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Vediamo gli aspetti economici: la produttività  viene misurata come valore di un prodotto rapportato a un fattore della produzione. Questo in principio. In pratica il prodotto viene rapportato al solo lavoro, perché … è facile contare gli occupati e/o le ore lavorate. Di produttività  totale dei fattori si parla solo in pubblicazioni specializzate e di produttività  del capitale quasi mai, perché le relative stime sono dubbie e dipendono da ipotesi eroiche. Macchinari e impianti sono così diversi tra loro (eterogenei) che come si fa ad aggregarli? I lavoratori invece …. si può fingere che siano omogenei perché i differenziali di remunerazione sarebbero proporzionali ai loro differenziali di produttività . «Sarebbero», perché la fiducia in un mercato capace di operare un tale miracolo è tanto cieca da ignorare miriadi di evidenze di segno contrario (si pensi solo a quanto è cresciuto negli ultimi trent’anni lo stipendio relativo dei manager rispetto a quello degli operai).
Squinzi pensa che bisogna lavorare più ore. Il prodotto fisico potrebbe crescere in proporzione esatta, ovvero più o meno proporzionalmente. Nel primo caso la produttività  oraria resterebbe eguale, nel secondo aumenterebbe, nel terzo diminuirebbe. Ma in valore? Le si pagano o no le ore lavorate in più (è quel che chiede Angeletti)? E che succederebbe a fronte di una maggiore produzione se non si riesce a vendere (sembra chiedere, tra le altre considerazioni, Camusso)?
Aspetti tecnici: qualcuno ritiene che gli operai delle fabbriche (ad esempio automobilistiche) tedesche o francesi, che appaiono avere una produttività  maggiore di quella italiana, muovano le mani più velocemente di quelli delle fabbriche italiane? E’ evidente che la differenza di produttività  non può che dipendere, indipendentemente o congiuntamente, dal fatto che il lay down del processo produttivo delle fabbriche estere è concepito meglio di quello delle fabbriche italiane o dal fatto che il lavoro è applicato a prodotti che si vendono a valori molto diversi tra loro: una cosa è vendere il risultato della stessa quantità  di lavoro al prezzo di una utilitaria o a quello di un’auto sfiziosa venduta ad un prezzo superiore.
… il tempo
Una dimensione ormai ignorata da tutti, tecnocrati, governi, imprese. Tempo è quel che chiede la Grecia e che farebbero bene a chiedere anche altri paesi, non solo Spagna, Portogallo e Italia, ma anche la Francia (solo per fare un esempio). L’agire prende tempo, il realizzarsi di effetti prende tempo. La Grecia dice «siamo d’accordo nel fare quel che chiedete ma lasciatecelo fare nel doppio del tempo». Hanno ragione, perché diluendo nel tempo l’austerità  i suoi effetti depressivi sul Pil sarebbero inferiori.
Il tempo e il suo fluire sono, concettualmente, gli elementi logici che consentono di separare i flussi (il Pil, i redditi, la quantità  di lavoro impiegato in ciascun periodo, i flussi di risparmio che si formano in ciascun periodo, il deficit pubblico annuo, gli investimenti di ciascun periodo, …) dagli stock (la capacità  produttiva totale esistente in un periodo, la ricchezza, i risparmi accumulati, il debito pubblico accumulato, …) e dalle variazioni degli stock (il crescere della capacità  produttiva, le variazioni del debito pubblico accumulato, …) e/o dei loro valori (le variazioni dei valori di borsa, quelle dei valori immobiliari, …). Tutte queste grandezze vengono ormai trattate confusamente da tutti ( …).
(continua su www.sbilanciamoci.info)


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