LA NOMENKLATURA E LA DEMOCRAZIA

Loading

La cattiva notizia è che i gruppi dirigenti del partitone ci hanno comunque provato a boicottarle nei fatti, dopo aver cercato invano di stroncarle sul nascere. A riprova dell’ormai incolmabile distanza di un pezzo di ceto politico dagli umori del Paese. Per mesi la nomenklatura aveva cullato l’idea di non farle proprio le primarie e non si era preoccupata delle regole. Per altri mesi ancora aveva comunque immaginato una vittoria di Bersani in assenza di veri rivali. Quando sul tavolo dei dirigenti sono arrivati i sondaggi che davano vincente Matteo Renzi oltre i quattro milioni di votanti, ecco scattare l’allarme. Passati in un attimo dalla sicumera della vittoria al panico della sconfitta, un percorso classico della sinistra italiana, i dirigenti hanno perso la testa e sono corsi allo stratagemma. Controlli, check in, registrazioni, varchi burocratici. Una serie di emendamenti fra il furbo e l’odioso che lo stesso presunto beneficiario, Pierluigi Bersani, ha chiesto infine di ritirare. Della complessa macchina messa in campo per scoraggiare il popolo degli elettori è sopravvissuto soltanto il divieto di votare al ballottaggio per chi non ha partecipato al primo turno. Ma è probabile che salti nella trattativa con Nichi Vendola, il quale ha già  chiarito di voler concorrere a primarie democratiche e non a un reality show.
Pierluigi Bersani esce molto bene dall’assemblea del Pd. È stato il segretario, l’unico del gruppo dirigente ad aver sempre voluto primarie senza se e senza ma, a disinnescare la bomba confezionata dai soliti geniali strateghi dell’autodistruzione. Ma esce bene anche Matteo Renzi, che senza far polemiche si è limitato a incassare con un sorriso l’ennesimo favore elettorale. Sconfitti sono i vecchi dirigenti inventori dei paletti anti-Renzi, il cui terrore da rottamazione è ormai un dato quasi fisico, a giudicare dai discorsi urlati e stravolti di Bindi, Marini e Fioroni, per citarne alcuni di ieri.
Un giorno qualche specialista, ma uno bravo, dovrà  pur spiegare la vocazione al suicidio della classe dirigente. Tutti i partiti lavorano per Grillo e la maggioranza del Pd si adopera da mesi per far vincere il rottamatore Renzi. Non passa giorno senza che un’intervista o una comparsata televisiva di qualche pezzo da novanta del Pd non ricordino all’elettore medio quanto sarebbe auspicabile un ricambio. In fondo è gente che faceva il ministro quando Barack Obama ancora faceva l’avvocato. Volessero davvero aiutare Bersani nella vittoria, dovrebbe semplicemente firmare una lettera di dimissioni dal seggio parlamentare. E invece eccoli lì a regalare al nemico centomila voti a botta tutte le volte che lo chiamano «il Grillo del Pd». Come fosse un handicap, di questi tempi.
Come Grillo, Matteo Renzi ha un unico argomento, il «tutti a casa»: ma i suoi avversari, invece di smontarlo, lo alimentano ogni giorno. Come Grillo, sa usare la Rete, è circondato da astuti consiglieri, bravo a rovesciare la frittata senza farsi accorgere, svelto nel pescare consensi a destra e a sinistra. Come Grillo, Renzi è peggiore di chi lo vota, o per meglio dire nel suo caso, ancora inadeguato a esprimere una novità  sostanziale e non di facciata. Ma rappresenta comunque un’alternativa al già  visto per un pezzo d’Italia vitale, moderna, sincera e onesta. Al contrario, Bersani è migliore della tradizione che incarna e l’ha dimostrato anche ieri, con la scelta di opporsi ai trucchi escogitati in suo favore e con un discorso tosto e convincente rivolto al paese reale e non al ceto politico. Sarebbe un’ottima cosa se gli apparati, le correnti, i gruppi di potere lo liberassero della zavorra di un appoggio controproducente e lo lasciassero da solo in campo contro il giovane rivale, liberi entrambi di giocarsi l’ultima carta del sistema democratico contro l’alta marea del populismo.


Related Articles

Monti nel silenzio della politica

Loading

In politica, insegnava Aldo Moro, anche i silenzi parlano, mentre le parole sono pietre. Perché, allora, sino a ieri nessuno ha ricordato che Mario Monti è stato nominato senatore a vita poco prima di ricevere l’incarico di Presidente del consiglio da Napolitano? In verità  già  la scelta di assegnare al cittadino Monti il seggio senatoriale per «altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario» (così si esprime l’articolo 59 della nostra Costituzione) poteva apparire una forzatura, in vista dell’approssimarsi della scelta del nuovo Presidente del Consiglio.

Le primarie dei massoni sotto le logge di Siena

Loading

SI È fatto un Papa, si è eletto un Parlamento ingovernabile, si disputa sull’esecutivo e sul prossimo presidente della Repubblica. E, tanto per complicare il mosaico, parte la campagna elettorale per l’elezione del nuovo Gran Maestro della Massoneria, che si autodefinisce “Istituzione”, ed è crocevia di potere.

I tre perché di un gesto umile

Loading

Perché ieri? Perché in una riunione di routine? Perché ritirarsi lì?

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment