LA MAGGIORANZA DEI NON ELETTORI
Però neppure in Sicilia, in passato, l’astensione era stata così alta. Da ciò la tentazione di decretare, in modo sommario, la crisi della democrazia e il distacco dei cittadini dalla politica. Valutazioni, peraltro, non del tutto ingiustificate. A condizione di chiarire il significato di questo comportamento. Perché l’astensione può avere ragioni diverse e perfino opposte. Alle elezioni presidenziali americane, ad esempio, l’affluenza alle urne, da oltre quarant’anni, non raggiunge il 60%. Ma è, anzi, più vicina al 50%. Senza che nessuno si sogni di parlare di democrazia in crisi e di crisi della democrazia. Al contrario. Un basso livello di partecipazione (non solo elettorale), secondo alcuni studiosi influenti (per tutti: Samuel Huntington), può venire letto come un atto di “fiducia” verso il sistema. Disponibilità ad “affidarsi” a chi è scelto dai cittadini. Mentre una partecipazione “troppo” elevata e accesa potrebbe complicare la “governabilità ”. Non è lo stesso in Italia, ovviamente. Tanto meno in Sicilia e in molte aree del Mezzogiorno (ma non solo). Dove il voto viene, di frequente, espresso in base a logiche clientelari e particolaristiche. E il non-voto riflette indifferenza politica. Tuttavia, mai come in questa occasione, a mio avviso, l’astensione ha assunto un significato “politico”. Esplicito e preciso. Perché raccoglie, certamente, una componente “patologica” di disaffezione. Ma questa volta si associa alla – e sottolinea la – delegittimazione dei principali partiti, a livello regionale e nazionale. Per capirci: Pd, Pdl e Udc, insieme, superano di poco il 36% dei voti. Validi. Cioè: “rappresentano” meno di un elettore su cinque. (Pur tenendo conto del voto e di liste “personali” ai candidati presidenti).
Quel 52% di elettori che non si sono recati alle urne assume, per questo, un significato politico. Non va considerato, cioè, un non-voto. Ma un “voto”. È “il voto di chi non vota” (per citare il titolo di un volume del 1983, pubblicato dalle Ed. Comunità , a cura di Mario Caciagli e Pasquale Scaramozzino). Segnala la frattura nei confronti del sistema partitico della Seconda Repubblica. Questo voto (in) espresso, in particolare, sottolinea il big bang del centrodestra e, in particolare, del Pdl. Di cui la Sicilia ha, da sempre, costituito una roccaforte. Fin dal 1994, quando Berlusconi scese in campo, ottenendo larghissimi consensi nella regione. Dove, non a caso, nel 2001, la Casa delle libertà fece cappotto, conquistando tutti e 61 i collegi. Oggi quel 13% (dei voti validi) raccolto dal Pdl – seguita alla débà¢cle subita alle recenti amministrative siciliane – appare, a maggior ragione, una condanna per Alfano. Leader di un partito abbandonato dal fondatore – Berlusconi – e dagli elettori. Ma il voto di quel 52% di elettori che non hanno votato rimbalza anche sui vincitori. Il centrosinistra, il Pd e il loro candidato: Rosario Crocetta. Eletto governatore con poco più del 30% dei consensi espressi. Cioè: meno del 15% degli elettori siciliani. Una base sicuramente ridotta. Rischia di produrre un grado di legittimazione altrettanto ridotto.
L’ampiezza dell’astensione, peraltro, si associa e si aggiunge al risultato ottenuto dal M5s ispirato da Beppe Grillo. Primo partito in Sicilia, con circa il 15% dei voti di chi ha votato. Il cui candidato, Giancarlo Cancelleri, ha raggiunto il 18% (dei voti validi). Dunque meno del 9% fra gli elettori. A conferma della frammentazione del sistema partitico, vecchio e nuovo. Un risultato comunque rilevante, tanto più perché dimostra la capacità del M5s di superare i confini del Centro-Nord, dove aveva ottenuto i maggiori successi fino a qualche tempo fa. (Lo segnala anche un saggio di Bordignon e Ceccarini nell’ultimo numero del Mulino). Peraltro, soprattutto in questa occasione, sarebbe improprio considerarlo fenomeno meramente “anti-politico”. Il peso dell’astensione, infatti, carica il voto al M5s di significato “politico”. Perché si tratta, comunque, di un’alternativa al non-voto. Un voto “per”, oltre che “contro”. Attribuito a una lista e a candidati che saranno chiamati a rappresentare le domande degli elettori e della società locale. Fornendo risposte e rispondendone, in seguito, ai cittadini.
Per questo il livello raggiunto dall’astensione in queste elezioni regionali non va considerato, necessariamente, una fuga dalla democrazia. Ma, semmai, un messaggio. Un indice che misura – e al tempo stesso denuncia – la riduzione del consenso di cui dispongono gli attori politici della Seconda Repubblica. Soprattutto, ma non solo, quelli che l’hanno “generata”. Per iniziativa e su ispirazione di Silvio Berlusconi. Il voto di chi non vota, per questo, va preso sul serio. Potrebbe superare i confini della Sicilia. In fondo, attualmente oltre 4 elettori su 10, a livello nazionale, non sanno per chi votare. Gli attori politici – i partiti e i loro leader – debbono offrire loro delle buone ragioni. Anzitutto: per votare.
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