La fame nel mondo continua a ridursi «Ma resta l’allarme»
ROMA — Anche se in Italia siamo poco abituati a considerare gli ultimi anni tempi di crescita, lo sviluppo economico in altre parti di mondo ha ridotto il numero delle persone che soffrono la fame, una piaga del pianeta lontana da essere curata del tutto eppure da riesaminare per affinare le strategie necessarie a ridurla ancora. Tra il 1990-92 e il 2010-12, il totale degli esseri umani perseguitati dalla mancanza di cibo è sceso di 132 milioni. Costituiva il 18,6% degli abitanti del mondo, è il 12,5%. Nei Paesi chiamati «in via di sviluppo», le persone che soffrono la fame erano quasi una su quattro, il 23,2%, e sono il 14,9%.
A fornire le dimensioni aggiornate del fenomeno è stato il rapporto Lo stato dell’insicurezza alimentare nel mondo pubblicato ieri dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), dal Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad) e dal Programma alimentare mondiale (Pam).
In Asia la piaga si è ridotta in vent’anni di quasi il 30%, da 739 a 563 milioni di sottonutriti. In Africa si è allargata: da 175 a 239 milioni. Dunque non significa che le proporzioni della sofferenza ramificata sulla Terra siano adeguate al suo livello di modernità . Nel biennio 2010-2012 quasi 870 milioni di esseri umani sono stati alle prese con malnutrizione cronica, uno su otto. La maggioranza di questi, 852 milioni, si trova nei Paesi in via di sviluppo. Altri 16 milioni nei Paesi sviluppati, ed è un dato che fa pensare sui limiti delle nostre società : erano 13 milioni tra 2004 e 2006. L’ultimo biennio, nota il rapporto, ha invertito una precedente «tendenza costante al ribasso».
La diminuzione dei perseguitati dalla fame è stata maggiore del previsto tra 1990 e 2007. Dal 2007 ha rallentato. Nel mondo i bambini sottopeso risultano cento milioni, ogni anno ne muoiono due milioni e mezzo. Il loro futuro non va visto come un destino ineluttabile dettato dal fato. La crescita economica ha reso meno lontani gli obiettivi del Millennio che gli Stati membri dell’Onu si prefissero nel 2000, il più famoso dei quali è dimezzare entro il 2015 il totale di quanti vivono con meno di un dollaro al giorno. Però non vuol dire che i progressi arriveranno senza spinte dell’uomo.
Nel riconoscere che «la crescita economica nei decenni recenti ha fornito opportunità considerevoli di ridurre fame e malnutrizione», il rapporto segnala che «tra 1990 e 2010 i redditi pro capite reali sono saliti globalmente di quasi il 2% l’anno, seppure con grandi differenze tra Paesi e tra decenni». Negli Stati in via di sviluppo ciò è avvenuto più dal 2000 che negli anni 90. Ma la crescita di per sé non è tutto. Dal rapporto: «Primo, la crescita deve raggiungere e coinvolgere i poveri e fornire aumento di occupazione e di opportunità di reddito per i poveri. Secondo, i poveri hanno bisogno di impiegare il loro reddito ulteriore per migliorare quantità e qualità della loro dieta (…). Terzo, i governi devono spendere incassi pubblici aggiuntivi sulle reti di sicurezza e beni pubblici-chiave e servizi come istruzione, infrastrutture, sanità pubblica».
In quali direzioni indirizzare le energie conta. «C’è una forte evidenza che i redditi dei molto poveri rispondono più alla crescita dell’agricoltura che a quella non agricola», segnala il rapporto, raccomandando azioni per uno sviluppo che si imperni su piccoli contadini e donne.
Maurizio Caprara
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