by Sergio Segio | 10 Ottobre 2012 8:02
MADRID — Al Teatro Infanta Isabel di Madrid è in scena la rivisitazione di una vecchia commedia di Dario Fo: «Non si paga, non si paga». Nel 1974 era una storia di espropri proletari e perbenismo. Il futuro premio Nobel venne accusato di «istigazione a delinquere», poi però la cosa finì lentamente nella soffitta dell’Italia da bere assieme alle Br, al compromesso storico e alla maggior parte dell’industria nostrana. Ora in Spagna l’hanno rispolverata chiedendo allo stesso Fo di attualizzarla. Al centro della vicenda c’è sempre il «furto» nel supermercato, il conflitto tra legge, politica e morale, ma il titolo e il senso storico sono cambiati. Ora la commedia si chiama «Sin paga, nadie paga», senza stipendio nessuno paga.
Senza paga in Spagna sono ormai 5 milioni e 600mila persone. E aumentano, più o meno, di 50 ogni ora, notti comprese. Entro fine anno, secondo i sindacati, potrebbero sfondare la quota simbolo di 6 milioni. Per due volte nell’ultimo mese un deputato regionale andaluso amante di Che Guevara e Arafat, Juan Manuel Sà¡nchez Gordillo, ha guidato espropri proletari in grandi supermercati per rimpinguare i magazzini dei banchi alimentari che distribuiscono pasti gratuiti. I grandi giornali promuovono le vendite regalando carrelli pieni di sapone e biscotti. La Caritas calcola che all’incirca un milione di persone bussano con regolarità alle mense sociali. Per la statistica è il 174% in più rispetto a 5 anni fa, all’inizio della crisi. Allora, però, erano al 90% immigrati irregolari, ora invece la percentuale dei clandestini si è ridotta al 50%. Vuol dire che almeno mezzo milione di spagnoli chiede una qualche forma di aiuto.
Il dato è sostanzialmente confermato da un appello lanciato ieri dalla Croce Rossa spagnola. Per la prima volta, invece di chiedere denaro per sfamare i terremotati di Haiti o le vittime della guerra civile in Somalia, la Croce Rossa ha chiesto donazioni per «sfamare 300mila spagnoli in condizione di indigenza». Di ieri l’annuncio choc dell’apertura del conto corrente.
«Ora + che mai» è lo slogan per la campagna. Gli storici possono segnare la data. Se le cose, in termini di recessione economica e relativa gestione sociale, dovessero andare peggio di oggi, potrebbe diventare uno spartiacque importante. Fino a quel giorno, si potrà dire, nell’area euro reggeva il welfare, poi dall’era dei diritti si è regrediti all’epoca della carità e della beneficenza.
Il New York Times ha umiliato l’orgoglio spagnolo mostrando giorni fa in prima pagina la foto di una giovane donna che frugava nei cassonetti. Se la si guarda bene è l’immagine corretta della nuova povertà europea. La ragazza è ben vestita e la sua ricerca tra gli scarti del benessere è un (umiliante e ingiusto) modo per arrotondare e risparmiare. Non si muore di fame in Spagna. Non ancora almeno. Non solo perché ci sono la Croce Rossa, la Caritas, le associazioni laiche e sindacali e la fondamentale solidarietà familiare, ma perché funziona la sanità universale e gratuita, l’assistenza sociale e gli ammortizzatori pubblici della crisi.
Il problema è, oltre alla disoccupazione, anche la crescente diseguaglianza tra ricchi e poveri. Fino ad oggi 16 milioni di lavoratori spagnoli riuscivano a sostenere (oltre a sé stessi e alle loro famiglie nucleari) anche gli oneri sociali per 8 milioni di pensionati e quasi 6 milioni di disoccupati.
Riuscivano. Ora, con gli stipendi in calo, non più. E lo Stato s’indebita: il deficit spagnolo non riesce a scendere quest’anno come vorrebbe l’Europa, non solo a causa dello spread che alza il costo degli interessi, ma anche per la crescita oltre il preventivato dei sussidi di disoccupazione. Tre miliardi oltre il budget 2012, un misero 0,3 per cento del rapporto deficit/pil su cui però a Bruxelles sono tutti pronti ad accapigliarsi.
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