by Sergio Segio | 29 Ottobre 2012 7:43
ERBIL (Kurdistan iracheno). Non ci sono checkpoint presidiati da soldati in assetto di guerra ma vigili urbani disarmati che dirigono un traffico di auto giapponesi nuove di zecca. E non vedi palazzi sventrati dalle autobombe né cumuli di immondizie, bensì aggraziate villette postmoderne sovrastate da grattacieli degni di un emirato arabo, e bazar puliti come farmacie, circondati da fontane e aiuole ben pettinate. Quando da Bagdad atterri a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, hai l’impressione di sbarcare in una California mesopotamica, dove perfino i nomi degli eleganti quartieri appena edificati, quali Dream city o Empire city, lasciano presupporre benessere e potenza.
L’antica Erbil, che sotto Saddam Hussein fu vittima di atroci persecuzioni razziali, e che una volta decapitato il regime baathista fu insanguinata dal terrorismo più feroce, vive da tre anni uno straordinario boom economico. Quello che era un villaggio di pastori e di sfollati è diventato la metropoli della nuova frontiera del petrolio: ricca, sicura, internazionale. Ricca, grazie all’estrazione di circa 250mila barili al giorno e a riserve inesplorate di greggio stimate a 45 miliardi di barili. Sicura, da quando attorno alla regione i peshmerga, ovvero gli ex combattenti indipendentisti, hanno creato una cintura di posti di blocco impermeabile agli arabi. Internazionale, per via delle numerosissime imprese straniere accorse a colonizzare questo nuovo Eldorado. Tra queste, una cinquantina sono italiane. Pochi giorni fa, la Iveco ha consegnato i primi 120 camion di un contratto di 65 milioni per la fornitura di prodotti per la manutenzione delle rete elettrica.
Eppure siamo a soli tre ore di auto da Bagdad, dove nel solo mese di settembre gli attentati hanno ucciso più di 350 civili, e a un’ottantina di chilometri da Mosul, diventata un covo di qaedisti. Ma qui non c’è più traccia di terrorismo, anche perché ai curdi, musulmani sunniti moderati, poco importa di sterminarsi a vicenda con gli sciiti.
A essere attratte dal Kurdistan iracheno sono soprattutto le compagnie petrolifere, con cui Erbil, in rappresaglia alla mancata o comunque monca erogazione da parte di Bagdad del 17% del budget iracheno, continua a stipulare accordi senza passare per il potente ministero del Petrolio della capitale. Tra queste compagnie si contano anche alcuni “giganti” quali ExxonMobil, Chevron e Total. Come altra misura di ritorsione, Erbil vende il petrolio estratto sul suo territorio direttamente ad Ankara, esportandolo a bordo di camion attraverso la sua frontiera settentrionale.
Come spiega Homer Dizeyee, cantante osannato dai giovani di Erbil e insieme consigliere del presidente dell’Iraq, il curdo Jalal Talabani, questa nuova relazione economica con la Turchia potrebbe rivelarsi foriera di un’alleanza strategica per ottenere un ben altro obiettivo. «Il sogno di ogni curdo è l’indipendenza.
Ora, quella del Kurdistan iracheno potremmo ottenerla solo con l’appoggio turco», spiega Dizeyee. «Credo anche che gli altri curdi, ossia gli iraniani, i turchi e i siriani debbano lottare ognuno per conto proprio».
Il Kurdistan iracheno è di fatto già distaccato dal resto del Paese poiché, oltre a galleggiare sul petrolio, dispone già di un suo esercito e di un suo governo. Quanto bisognerà aspettare perché avvenga la secessione definitiva da Bagdad? Lo scorso marzo, il presidente della regione autonoma, Massoud Barzani, annunciò in tv che il loro sogno era vicino dall’avverarsi. Ma come spiega Dindar Zebari, rappresentante della regione alle Nazioni Unite, manca ancora il consenso delle nazioni vicine. «Abbiamo sotto gli occhi diversi esempi di popoli che avevano le nostre stesse ambizioni, dal Kosovo al Sud Sudan, da Timor est a Taiwan. Non tutti hanno ottenuto
quello che desideravano. Perciò procediamo con i piedi di piombo. Non possiamo dichiararci indipendenti unilateralmente da Bagdad, e soprattutto senza un nullaosta internazionale ».
Il Kurdistan sta comunque preparando la coreografia necessaria a festeggiare il giorno in cui si separerà da Bagdad. Lo fa con il radicale restauro della cittadella, nel cuore di Erbil, ininterrottamente abitata da almeno 6000 anni, e quindi dagli assiri, i babilonesi e via elencando fino a diventare, pochi anni fa, un rifugio per gli sfollati dei massacri baathisti. «Nel 2006 è stata espropriata ed è partito un progetto da 180 milioni di euro per riportarla ai suoi antichi splendori », dice l’architetto italiano Patrizia Barucco, coinvolta nel rinnovo dell’antica polis. «È anzitutto un progetto politico, che restaurerà soprattutto edifici di epoca tardo ottomana. Il resto è sepolto sotto le attuali rovine». I lavori sono già cominciati. La prossima tappa sarà l’abbattimento del massiccio ingresso di mattoni che fu eretto sotto Saddam Hussein.
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