Israele, Russia e Iran Romney sconfessa Obama

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NEW YORK — «Il presidente voleva darci un Medio Oriente più sicuro, libero, prospero e alleato degli Usa. Condivido la sua speranza, ma la speranza non è una strategia. Non puoi aiutare gli amici e tenere testa agli avversari se non hai un’agenda chiara, se tagli drasticamente la spesa militare rischiando di compromettere la tua forza, se dai la sensazione che la tua politica non sia quella delle partnership ma della passività ».
È un discorso molto duro, con qualche forzatura elettorale (come l’accusa a Barack Obama di aver fallito in Libia), ma anche nitido, articolato, quello col quale Mitt Romney ha fissato ieri la sua posizione sui principali temi internazionali davanti ai cadetti del Virginia Military Institute, l’accademia militare di Lexington. Un discorso nel quale la Cina di fatto non compare nemmeno, di Putin si parla solo per dire che l’America andrà  avanti con le difese antimissile nonostante le preoccupazioni del presidente russo mentre l’Europa viene chiamata in causa quasi solo per rimproverarle le inadempienze finanziarie in sede Nato: «Da presidente chiederò ai nostri alleati di onorare il loro impegno di destinare almeno il 2 per cento del Pil alle spese per la sicurezza: oggi solo tre dei 28 partner dell’Alleanza Atlantica rispettano il vincolo che hanno sottoscritto».
Sconfitto il leader democratico nel dibattito della scorsa settimana, a Denver, in netto recupero nei sondaggi, l’ultimo del Pew Center lo dà  addirittura avanti di quattro punti (anche se negli Stati-chiave è ancora indietro), il candidato del partito conservatore sta cercando di dare sostanza alla riscossa anche definendo in modo più netto la sua linea di politica estera: l’area nella quale fin qui è stato più in affanno, un po’ per la maggiore esperienza di Obama e la sua immagine di leader mondiale, un po’ per gli errori dello stesso Romney. Quelli commessi durante il suo viaggio estivo in Gran Bretagna e Israele e alcune affermazioni troppo precipitose fatte dopo l’uccisione dell’ambasciatore Stevens a Bengasi.
Allora Obama ne aveva subito approfittato per sferzarlo: «È uno che prima spara e poi prende la mira. Un presidente non può permetterselo». Adesso Romney, davanti all’emergere di una trama terrorista dietro un assalto che all’inizio era parso legato alla protesta violenta contro «Innocence of Muslims», un film offensivo contro il mondo islamico, si prende la sua rivincita: «In Libia l’Amministrazione ha sbagliato, solo ora ha cominciato ad ammettere che l’attacco era premeditato, non la reazione a un video, comunque da condannare, che insulta l’Islam».
Romney ha bollato come rinunciataria la linea tenuta da Obama nelle aree calde del Medio Oriente e dell’Asia centrale: la Siria («dovremmo armare gli oppositori che condividono i nostri valori aiutandoli a sconfiggere i tank e i jet di Assad, e invece lasciamo che vengano massacrati: non dimenticheranno certo che li abbiamo abbandonati»), l’Egitto («aiuti al nuovo governo solo se si impegna a costruire un sistema democratico e a rispettare il trattato di pace con Israele»), ma anche l’Iraq dal quale, secondo il leader repubblicano, l’America si è ritirata troppo precipitosamente. E l’Afghanistan per il quale teme una ripresa delle ostilità  e il ritorno all’estremismo che ha portato all’attacco terroristico del settembre 2001, come conseguenza di un ritiro troppo precipitoso. Romney non sconfessa il piano che prevede un completamento della transizione entro il 2014, ma ritiene che esso vada rivisto alla luce delle indicazioni dei militari che operano sul campo.
Ovviamente la Casa Bianca e anche molti analisti notano che il Pentagono non è estraneo al piano di disimpegno dall’Afghanistan e che in Siria i ribelli sono talmente frammentati e infiltrati da estremisti di ogni provenienza, da rendere pressoché impossibile identificare un fronte di forze affidabili. Ma Romney ha voluto soprattutto far suo il tema, caro al conservatorismo Usa, dell’«eccezionalismo» americano, della sua leadership planetaria. Argomenti usati spesso anche da Obama e infatti alcuni passaggi di Romney sembrano presi da discorsi del presidente. Ma il candidato repubblicano aggiunge che per guidare non basta avere superiorità  morale: bisogna anche avere la forza di «plasmare la storia» e qui, conclude, Obama sta mancando gravemente.
Massimo Gaggi


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