by Sergio Segio | 6 Ottobre 2012 6:24
MILANO — Partiamo dalla fine. Il decreto «Crescita 2.0» approvato dal Consiglio dei ministri istituisce lo Sportello unico per l’attrazione di investimenti esteri, che farà capo al ministero dello Sviluppo economico e coordinerà tutti gli altri soggetti che operano nel settore, avvalendosi anche del supporto di personale proveniente dall’Ice e dall’Agenzia Invitalia, «senza generare così ulteriori oneri — spiega il testo — per la finanza pubblica». Il Desk Italia dovrà essere un unico punto di coordinamento «stabile, tempestivo ed efficace a cui potranno far riferimento — prosegue il decreto — i soggetti imprenditoriali che abbiano intenzione di realizzare investimenti di tipo produttivo e industriale sul territorio italiano».
Della necessità di uno sportello unico per gli investimenti esteri funzionale alla crescita ne aveva già parlato a luglio il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. Perché uno degli ostacoli ricorrenti citati dalle imprese estere che vogliono fare affari in Italia è l’eccesso di burocrazia, declinato principalmente nelle due forme della lentezza di autorizzazioni (e spesso anche informazioni) e nell’incertezza normativa. Lo Sportello Italia avrà il potere di convocare apposite conferenze di servizi e di impulso normativo in materia. Tuttavia il nuovo sportello unico non convince. È «scettico» ad esempio l’economista Fabrizio Onida, professore di Economia internazionale alla Bocconi: «Di sportelli unici se ne parla da tempo, dipende dai poteri che hanno». Il cambio di passo sarebbe rappresentato da «un ufficio in grado di espletare le procedure di autorizzazione e prima di fornire le informazioni del caso». Finora Invitalia è stata l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo Sviluppo d’impresa e, per mandato del governo, «l’interlocutore unico per gli investitori esteri». Evidentemente qualcosa non ha funzionato. «Serve una struttura pubblica — spiega Onida — che possa stabilire normative più vincolanti ad esempio sui tempi di risposta degli uffici, per cui la convocazione delle conferenze di servizi assume un significato differente. Altrimenti il rischio è di entrare in un circolo vizioso in cui si indicano gli obiettivi, viene promossa una nuova entità ma non si creano le condizioni per realizzarla».
Lo sportello unico per facilitare la vita a imprese e cittadini è un tema ricorrente. I risultati, però, non sono stati sempre brillanti. Nel 1998 con le Leggi Bassanini sulla semplificazione amministrativa viene introdotto lo Sportello unico delle attività produttive (Suap). L’obiettivo era facilitare la nascita di nuove imprese attraverso la drastica riduzione dei tempi e dei costi burocratici e la creazione di un’interfaccia unica con l’amministrazione pubblica. A sentire Confindustria i benefici sono stati modesti e non sono mancate le critiche. Il tema è ritornato nel 2010, quando fu lanciato lo slogan «Impresa in un giorno». Stesso giudizio da parte degli industriali.
Lo sportello unico non interessa solo l’avvio di un’azienda. Nel 2001 nasce lo Sportello unico per l’edilizia (Sue). Raggio di competenza comunale, è destinato a quei cittadini che vogliono realizzare un intervento edilizio. Tornando al presente recente, il Consiglio dei ministri ha approvato a metà settembre il nuovo regolamento che disciplina l’Autorizzazione unica ambientale (Aua): le norme in materia costringono le imprese a rivolgersi ad amministrazioni diverse (Comuni, Province, Regioni, Arpa) per ottenere le autorizzazioni necessarie all’attività produttiva, che spesso hanno periodi di validità differenti. L’Aua raggrupperà sette procedure diverse e potrà essere ottenuta con una singola domanda allo Sportello unico per le attività produttive. Viene anche introdotta la certezza dei tempi.
L’aggettivo che ritorna è sempre lo stesso, unico, replicato però in una moltitudine di uffici. Era maggio quando Ikea, il colosso svedese dell’arredamento, auspicava uno sportello unico per il controllo delle merci contro le lungaggini delle procedure del porto di Genova. L’obiettivo, dunque, è sempre lo stesso: la semplificazione burocratica. «Ma non basta l’enunciato del governo — conclude Onida —. Bisogna capire dove porta. Serve un lavoro lento e paziente per cambiare la cultura amministrativa del nostro Paese».
Francesca Basso
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