Il Quirinale raffredda le tentazioni elettorali dopo lo choc siciliano

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E poi perché il Quirinale è deciso a impedire uno scioglimento anticipato che punti alle elezioni con l’attuale sistema elettorale e accentui la sensazione di sfascio. Ma l’incognita sulla rotta di avvicinamento dei partiti alle urne è palpabile.
Lo choc siciliano dell’astensione oltre il 52 per cento e l’affermazione del Movimento 5 Stelle grillino spingono quasi per forza di inerzia a rimescolare le alleanze. I segnali fra la Lega di Roberto Maroni e il Pdl cominciano a infittirsi. Il segretario del Carroccio addita le falangi del comico populista Beppe Grillo come una minaccia che si allunga anche sulla Lombardia, se il centrodestra è diviso e Pd e Udc riescono a stipulare davvero un’alleanza: una prospettiva che viene accreditata dopo l’udienza concessa ieri sera da Napolitano a Pier Ferdinando Casini.
Lo spauracchio diventa un pretesto per riannodare i fili non tanto con il partito di Angelino Alfano ma con quello del Cavaliere: con il doppio obiettivo di consegnare il vertice della Regione a un candidato leghista; e di accorciare la durata di Monti e della legislatura. Si tratta di una strategia che implicherebbe un’accentuazione dei toni antieuropei e antigovernativi nel Pdl. Tenderebbe a bloccare qualsiasi riforma. E riconsegnerebbe un Parlamento ingovernabile, con una parte del centrodestra e la componente grillina accomunate dall’estremismo. Le poche parole dette ieri da Napolitano vanno considerate come un muro issato per contrastare questa prospettiva.
Insistere sull’esigenza di votare alla «scadenza naturale» e «sulla base di nuove regole» significa non rassegnarsi allo status quo. Ricordare che di qui a primavera «c’è materia assai rilevante per l’impegno del governo e del Parlamento», smentisce le tesi di chi accarezza una crisi di governo a breve. Napolitano sembra voler rammentare che eserciterà  il proprio potere fino all’ultimo: per spingere alla riforma elettorale; per fare approvare la legge anticorruzione; e per arginare le spinte demagogiche più insidiose. Le sue parole sono state capite così bene che dal centrodestra lo si invita a mandare un messaggio alle Camere, senza usare, accusa il coordinatore del Pdl, Sandro Bondi, «un florilegio di richiami politici».
È una guerra di posizione, a destra e a sinistra, che Monti cerca di combattere puntellando l’Italia sui mercati finanziari e in Europa. La sua priorità  sono le aste dei titoli pubblici, che sono andate bene; e un’insistenza sull’irreversibilità  delle scelte compiute. Eppure, è difficile ignorare un filo di inquietudine per un incattivimento della campagna elettorale e per estremismi verbali che all’estero possono essere usati contro l’Italia. Il premier non si stanca di ripetere ai propri interlocutori internazionali che il sistema politico è avviato alla normalità . Il risultato siciliano e i «cartelli» elettorali che si stanno delineando, però, annunciano una transizione tormentata e in bilico.


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«Se la società  ha fatto cose in violazione delle leggi, non può ricevere soldi pubblici, è una cosa così banale che anche il presidente del Consiglio Monti la può capire». Si è espresso così il leader della Lega Nord Roberto Maroni.

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