Il premier e i rischi di una «lunga campagna»

by Sergio Segio | 29 Ottobre 2012 7:22

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ROMA — Oggi volerà  a Madrid, discuterà  con Rajoy del piano di salvataggio delle banche iberiche, della posizione di Berlino sui tempi della sorveglianza bancaria unica nell’Eurozona, dei temi in agenda fra i due Paesi.
L’unica cosa certa della reazione di Monti alla minaccia di Berlusconi è che il premier continuerà  a lavorare. Non che non sia accaduto nulla, non che le dichiarazioni del Cavaliere non abbiano prodotto un velo di sconcerto, che il premier ha trovato il modo di comunicare al Cavaliere, seppure in modo indiretto, nel corso di un ricevimento, a Milano, attraverso alcuni esponenti del Pdl.
Lo sconcerto che si coglie nel governo ha avuto 24 ore di decantazione ed è legato a un semplice dato: ci hanno chiamato a fare questo lavoro, non ci siamo proposti, abbiamo finora evitato un baratro finanziario. E tanto basta per aggiungere con serenità , come del resto faceva ieri il ministro Clini («non temo che qualcuno stacchi la spina, perché non vivo con un respiratore»), che nella squadra di Monti sono tutti pronti ad andarsene quando sarà  arrivato il momento; e in fondo se accadrà  ad aprile o qualche mese prima poco cambia.
«Basta che lo dicano», magari con chiarezza, si aggiunge, con una punta di sconforto per un clima e un dibattito di cui tutti nell’esecutivo farebbero a meno. Monti aveva detto di temere una campagna elettorale lunga: se queste sono le premesse il timore potrebbe avverarsi.
Rafforzano la linea non interventista, alcune considerazioni più squisitamente politiche: nessuno crede veramente che il Cavaliere possa inoltrarsi in una strada che sarebbe dannosa per il Paese, ma in definitiva anche per lui. E se lo pensa anche il suo partito, il Pdl, che finora ha reagito in modo gelido alle dichiarazioni di Berlusconi, vorrà  pur dire qualcosa.
Costringere poi il Paese all’esercizio provvisorio, in caso di crisi sulla legge di Stabilità , viene considerata un’eventualità  remota, sarebbe il segno di un’irresponsabilità  che in quest’ultimo anno nessuno ha rintracciato nell’ex premier, che viceversa ha dimostrato di sostenere in modo leale lo sforzo di risanamento che il presidente della Repubblica ha affidato a Mario Monti.
Il silenzio ufficiale di Palazzo Chigi era ieri condito con queste considerazioni. E per pochi attimi ne hanno condiviso certamente altre gli stessi Monti e Napolitano, a margine dei funerali dell’alpino rimasto ucciso in Afghanistan. Ieri sera, anche al Quirinale, pur non derubricando l’accaduto, si era convinti di non fare un errore nel considerarlo, almeno per ora, solo come un dirompente atto mediatico a cui si è abituati, e che si spera senza conseguenze politiche, almeno di rilievo traumatico.
Marco Galluzzo

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