Il politico e il boss «moderno»: non sapevo fosse delle ‘ndrine
MILANO — Si è avvalso della facoltà di non rispondere l’assessore regionale lombardo pdl alla Casa, Domenico Zambetti, nel primo interrogatorio di garanzia ieri davanti al gip Alessandro Santangelo che mercoledì l’aveva arrestato con l’accusa di voto di scambio con la ‘ndrangheta, concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione aggravata dall’aver agevolato la ‘ndrangheta. In una breve dichiarazione spontanea al gip, Zambetti, difeso da Giuseppe Ezio Cusumano, ha spiegato di voler rispondere al pm Giuseppe D’Amico, ma di non sentirsela ora a causa di problemi di salute. L’ex assessore di Formigoni ha però anticipato che spiegherà di non aver mai pagato denaro per avere voti, e di non aver mai saputo che i suoi due interlocutori (gli ‘ndranghetisti Pino D’Agostino e Eugenio Costantino) fossero i portavoce delle cosche calabresi Morabito-Bruzzaniti di Africo e Di Grillo-Mancuso di Limbadi.
Crespi: usano il mio nome
È invece passato al contrattacco il sondaggista Ambrogio Crespi, fratello del più noto Luigi (7 anni in primo grado per il crac Hdc), arrestato come presunto collettore di voti indirizzati da Costantino su Zambetti. Il suo arresto è il meno forte fra le varie posizioni, perché gli indizi maggiori arrivano quasi tutti da ciò che i boss si dicevano tra loro, e l’unica significativa telefonata in cui Crespi parla può essere interpretata sia pro sia contro. Il sondaggista, difeso da Marcello Elia, ha negato seccamente di aver raccolto voti per i clan, spiegando le telefonate altrui come la volontà dei malavitosi di spendere il suo nome per acquisire credibilità e ottenere i pagamenti che si reclamavano l’un l’altro. Inoltre ha additato alcune intercettazioni nelle quali Costantino gli attribuirebbe circostanze fantasiose, come l’aver fatto fallire il produttore Cecchi Gori.
Il profilo dei due «ambasciatori» delle cosche presso i politici, Costantino e D’Agostino, è peraltro uno degli aspetti più interessanti dell’operazione che ha monitorato l’interferenza del pacchetto di voti dei clan sulle regionali 2011 (4.000 preferenze su Zambetti per 200.000 euro secondo l’accusa), sulle elezioni per il Comune di Milano 2011 (400/500 voti per la figlia dell’ex presidente del Consiglio comunale Vincenzo Giudice, al quale però gli ‘ndranghetisti si erano presentati con un nome falso come lobbysti calabresi) e sulle amministrative 2011 nel Comune dell’Expo 2015, Rho.
Il boss «moderno»
Costantino, rileva il gip, «è un esponente della ‘ndrangheta per così dire “moderno”. Uno di quelli che non bada “alle capre”» (come lui stesso in una intercettazione marca la differenza rispetto a Sabatino Di Grillo), «non si sporca», non è di una famiglia originariamente mafiosa, ha solo un precedente penale, ma per bancarotta, «è sempre ben vestito e dotato di buona dialettica, capace di interloquire anche con persone di una determinata fascia culturale». Ufficialmente gestisce di fatto alcuni negozi di “Compro Oro” nell’hinterland milanese a Settimo, Cornaredo, Busto Garolfo e Cuggiono. E solo ora, a posteriori, diventa interessante che anni fa ai carabinieri di Vimercate fosse capitato di controllarlo insieme a un pluripregiudicato di Taurianova che fu poi fermato alla frontiera di Vipiteno con un arsenale composto da 9 pistole, una mitraglietta, 5 silenziatori e 21 caricatori.
«Paciere in tutta Europa»
Il capitale di Costantino è però l’«immagine» di Giuseppe D’Agostino, cosca Morabito-Bruzzaniti di Africo, condannato a 4 anni e 8 mesi per traffico di droga all’Ortomercato di Milano, dove la cosca gli aveva affidato la gestione del night «For the King». «Lui è rispettato da tutti — spiega Costantino a un complice —, dove si presentava non ce ne era per nessuno, anche perché con i grandi della ‘ndrangheta… Peppe Ferraro (“il Professore”, ndr), Micu Barbaro, Ninetto Gullace, cioè gente che fanno tremare, i boss più forti, i Galanti, i Bellocco, tutti. Diciamo che lui con il potere di rispetto che aveva, lui poteva fare da paciere in tutta Italia, anche in tutta Europa…».
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