Il piano del governo: «Non sarà  una carezza»

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ROMA — «Non sarà  una carezza» per l’Ilva di Taranto, dicono già  al ministero dell’Ambiente, la nuova Autorizzazione integrata ambientale (Aia) che il ministro Corrado Clini presenterà  questa settimana. Le prescrizioni perché il polo siderurgico più grande d’Europa possa continuare a produrre acciaio (coi suoi 12 mila lavoratori) si annunciano severissime, «le più severe d’Europa», ha chiosato ieri lo stesso ministro Clini. La nuova Aia prevederà , infatti, «la fermata immediata di alcuni impianti», «la riduzione della produzione» e lo stop «in tempi più lunghi» degli altri reparti sotto sequestro dal 26 luglio. Queste le linee guida: i dettagli si conosceranno entro pochi giorni.
La commissione ministeriale presieduta dalla professoressa Carla Sepe, per anni consulente giuridico del Quirinale, ha ormai ultimato il suo lavoro: il 17 ottobre prossimo, a Roma, l’Aia sarà  sottoposta all’approvazione della Conferenza dei servizi, quindi «le misure più urgenti verranno applicate in 3 mesi». Intanto, però, il tic-tac dell’orologio della Procura si fa incalzante: entro 5 giorni dev’essere avviato lo spegnimento degli impianti dell’area a caldo considerati inquinanti, ha ordinato sabato sera il procuratore capo di Taranto, Franco Sebastio, che indaga sull’Ilva per «disastro ambientale».
L’ultimatum, che scadrà  giovedì prossimo, non ha cambiato però i piani del governo: nessun braccio di ferro con i giudici e nessuna corsa contro il tempo. «L’obiettivo nostro è lo stesso della Procura, cioè il risanamento ambientale degli impianti dell’Ilva e le misure della nuova Aia raggiungono quest’obiettivo», spiega il ministro Clini. Le prescrizioni della nuova Autorizzazione integrata ambientale, dunque, dovrebbero convincere anche il procuratore Sebastio del fatto che un’altra strada ormai è stata intrapresa e indurlo, così, a concedere il dissequestro («Del resto, sarebbe singolare — prosegue Clini il suo ragionamento — che la magistratura ritenesse non adeguata la nuova Aia dopo che il 4 agosto 2011 la vecchia Aia, con prescrizioni assai meno stringenti, passò sotto silenzio»). Le parole d’ordine di queste ore, perciò, sono «sangue freddo» e «fiducia».
Clini, proprio ieri, si è consultato a lungo anche con il collega Corrado Passera, il ministro dello Sviluppo economico. La linea del governo dall’inizio non è mai cambiata: garantire la continuità  produttiva dell’Ilva, i posti di lavoro, insomma l’acciaio italiano. La chiusura di Ilva — disse lo stesso Passera in Parlamento un mese fa — provocherebbe un danno per la nostra economia di oltre 8 miliardi di euro annui. Ma la tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini, per il governo, resta comunque la priorità : ecco perché «non ci saranno sconti».
Ma l’Ilva come la prenderà ? Il ministro Clini non crede che «ci saranno ripensamenti» da parte del gruppo siderurgico. La nuova Aia, infatti, è stata elaborata anche con il contributo dell’azienda («Abbiamo stressato l’impresa a farci proposte progettuali», chiosa il ministro dell’Ambiente), perciò c’è da ritenere che l’Ilva deciderà  di restare. In fondo, ne sono convinti al ministero, la scelta converrà  a tutti. A Palazzo Chigi la chiamano «strategia win-win»: gli investimenti che l’azienda sarà  chiamata a fare per la manutenzione straordinaria e addirittura per la sostituzione degli impianti, infatti, garantiranno i loro frutti a medio termine e renderanno alla fine la siderurgia italiana ancor più competitiva a livello europeo, visto che i rivali dell’Ue dovranno comunque adattarsi alle stesse prescrizioni nel 2016. E chi parte prima, di solito, poi si trova in vantaggio.
Clini s’arrabbia, però, e tanto, quando gli si chiede del presunto decreto «salva Ilva» che dovrebbe essere approvato dal Consiglio dei ministri proprio questa settimana. Un decreto legge come quello del 2002 che riaprì il petrolchimico di Gela? «Una cretinata, tutte stupidaggini — s’infuria il ministro —. Non c’è alcun decreto salva Ilva: sono cose messe in giro da chi si sente in campagna elettorale, non è il mio caso. Il decreto di cui si parla riguarda 57 siti industriali ancora da bonificare, perché in 15 anni per colpa di procedure barocche e anche un po’ opache siamo riusciti a bonificarne soltanto uno, anzi uno e mezzo. E l’Ilva non c’entra niente».


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