by Sergio Segio | 3 Ottobre 2012 6:20
CITTà€ DEL VATICANO — Due cardinali, un vescovo, il membro di una confraternita, un minutante della Segreteria di Stato vaticana, un amico di liceo e una donna: la governante del Papa, oggi traduttrice. Il maggiordomo non li ha propriamente chiamati «corvi».
Ma erano comunque loro alcuni dei suoi confidenti, «i contatti», come ha spiegato ieri l’addetto di camera di Benedetto XVI, Paolo Gabriele, nella seconda udienza del processo sui documenti segreti trafugati che si sta svolgendo in Vaticano. Rinchiuso per quasi venti giorni in una cella «dove non potevo nemmeno allungare le braccia », e con la luce accesa «24 ore al giorno», l’ex assistente autodefinitosi «il laico che era più vicino al Papa», ha reso una testimonianza inattesa. Soprattutto per chi si aspettava una totale assunzione di responsabilità , in previsione di una richiesta di grazia. E la deposizione successiva di monsignor Georg Gaenswein, segretario personale di Joseph Ratzinger, ha segnato un momento importante di confronto, in un dibattimento del tutto inedito.
“NESSUN COMPLICE”
«Non mi sento colpevole di furto aggravato, ma di aver tradito la fiducia che il Santo Padre aveva riposto in me, e che amavo come se fossi un figlio», ha detto Gabriele, apparso ieri più tranquillo, masticando a tratti una caramella, tenendo qualche volta gli occhi chiusi. «Non ho ricevuto soldi o benefici per aver consegnato i documenti — ha aggiunto — . Dalla vicenda ho anzi avuto solo effetti distruttivi. E comunque il libro pubblicato da quelle carte non è stato certo voluto da me». E la pepita d’oro regalata al Papa che lei aveva in casa, gli è stato chiesto? «Mai vista, non so nemmeno com’è fatta una pepita». E l’assegno da 100mila euro intestato a Sua Santità ? «Mai visto, non sapevo che fosse a casa mia». Interrogato dal suo avvocato Cristina Arru, il maggiordomo si è quindi dichiarato «innocente». E ha poi esposto le sue condizioni di detenzione.
IL CUSCINO NEGATO
Gabriele ha parlato di una cella minuscola. E di una permanenza qui di «una ventina di giorni», come ha sottolineato il suo legale. «Forse neanche», ha replicato il pubblico ministero, il promotore di giustizia Nicola Picardi, spiegando di aver poi provveduto a organizzare una cella «più ampia». L’ex addetto di camera, sempre su domanda del suo avvocato, ha sottolineato di essere rimasto per i primi 15-20 giorni con la luce accesa 24 ore su 24. «Questo mi ha anche causato un abbassamento della vista». Gli è stato chiesto se avesse subito pressioni di carattere psicologico. «La prima notte sì — ha risposto — mi è stato anche negato il cuscino». Il presidente
del tribunale, il giudice Giuseppe Dalla Torre ha indicato a questo punto all’avvocato difensore di «presentare una denuncia a parte », invitando il promotore di giustizia ad aprire un fascicolo per accertare eventuali «abusi».
Immediata la replica del portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, che ha parlato di condizioni invece «molto umane». «Anche la cella più piccola in cui è
stato inizialmente detenuto rispetta gli standard internazionali cui il Vaticano aderisce». Duro un successivo comunicato della Gendarmeria vaticana, il cui comandante Domenico Giani, l’uomo che vigila personalmente sulla sicurezza di Benedetto, appariva ieri in tribunale imbarazzato e irritato. «La luce è rimasta accesa nelle 24 ore — si legge nel documento — per evitare eventuali atti autolesionistici dell’imputato e per esigenze di sicurezza. I suoi principali diritti, anche riguardo l’intimità , non sono mai stati violati ». La Gendarmeria ha fatto sapere che nel caso le accuse mosse «dovessero risultare infondate egli potrebbe essere passibile di una controdenuncia».
I PORPORATI E LA DONNA
Nell’udienza sono infine emersi i nomi resi dal maggiordomo nell’interrogatorio del 6 giugno scorso. «Ho avuto molti contatti e confidenze», ha aggiunto ieri Gabriele. I nominativi sono quelli dei cardinali Paolo Sardi e Angelo Comastri, del vescovo Francesco Cavina (ora alla diocesi di Carpi ma in precedenza alla Segreteria di Stato), e persone in passato molto vicine al Papa come l’ex segretaria Ingrid Stampa. Poi ha detto di avere raccolto informazioni sulla Gendarmeria dal minutante Vincenzo Mauriello e da Luca Catano, membro della confraternita dei santi Pietro e Paolo, presentatogli dall’amico del liceo, Enzo Vangeli, e che gli era sembrato «molto addentro» all’organismo.
Gabriele ha però contestato di essere stato suggestionato dalle persone citate, e che si potesse parlare di una «collaborazione».
«Anche perché dovrei fare altri nomi», ha spiegato. In istruttoria, quando gli era stato chiesto con quante persone fosse in contatto, la risposta era stata: «Dovrei dire un numero enorme».
Da rilevare come la scorsa estate, in un articolo apparso in Germania su Die Welt e poi il 23 luglio in Italia su Repubblica, si facevano con evidenza due nominativi fra quelli emersi ieri: quelli di Ingrid Stampa e del cardinale Paolo Sardi. Al pezzo era seguita una doppia, severa smentita da parte della Sala Stampa vaticana e della Segreteria di Stato, che parlava di «totale riprovazione per tali pubblicazioni », aggiungendo che «non è questa l’informazione a cui il pubblico ha diritto». Ieri non ci sono state reazioni ufficiali da parte vaticana nel momento in cui i nomi di Sardi e della Stampa — fatti dai due quotidiani due mesi e mezzo fa — sono stati infine resi pubblici nel processo.
IL SEGRETARIO LO IGNORA
Ma ieri è stata anche la giornata in cui monsignor Georg Gaenswein si è trovato di fronte all’uomo che aveva incastrato. Apparendo come teste, in talare nera ma senza la fascia rossa di prelato d’onore di Sua Santità che è solito indossare, l’assistente tedesco di Ratzinger ha detto con un evidente imbarazzo: «È la prima volta che faccio una cosa del genere». Poi ha giurato solennemente «sul santo Vangelo di dire tutta la verità , nul-l’altro che la verità ». Era anche la prima volta che don Georg e l’ex maggiordomo si rivedevano dopo il drammatico arresto di quest’ultimo. I movimenti un po’ rigidi, le frasi secche e assertive, padre Georg non è parso a suo agio. Ha rifiutato un bicchiere d’acqua che gli è stato offerto e non ha degnato Gabriele d’uno sguardo. Il maggiordomo, ancora in completo grigio chiaro e camicia bianca, ma con cravatta blu, si è alzato in piedi al suo ingresso in segno di rispetto. «Tutto è nato — ha raccontato monsignor Gaenswein — da due lettere originali che compaiono nel libro “Sua Santità ”, una del giornalista Bruno Vespa indirizzata a me e una di un direttore di banca milanese anche indirizzata a me, mai uscite dal mio ufficio. C’era anche un appunto di padre Lombardi sul caso di Emanuela Orlandi». Lì padre Georg ha capito, e ha denunciato il comportamento di Paolo Gabriele davanti a tutta la Famiglia pontificia riunita.
Questa mattina tocca in aula ai gendarmi vaticani. Domani il Papa sarà in visita a Loreto. Venerdì l’arringa della difesa. E, forse, anche prima di sabato, il verdetto.
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