Il latte della Mauritania

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Quella è sempre stata una zona di pastori e coltivatori, e da quando le donne hanno formato la cooperativa nel 2009 hanno garantito alle loro famiglie un piccolo reddito stabile e cibo assicurato anche nei periodi di siccità , riferisce Irin news, il notiziario on-line dell’Ufficio Onu per gli affari umanitari (in un dispaccio del 1 ottobre). Certo, la cooperativa potrebbe aumentare la rete di vendita se avesse la possibilità  di raggiungere mercati più distanti, ma per questo servirebbero strade migliori e furgoni frigorifero. Un’organizzazione non governativa locale, l’Association mauritanienne pour l’auto-développement (Associazione mauritana per l’auto-sviluppo, Amad) aveva aiutato la cooperativa nella fase di avvio con 30mila dollari di finanziamento, ma non ha fondi per aiutarle a espandersi.
Strade e furgoni però sono solo una parte del problema. C’è un ostacolo ancora più insormontabile, per le donne di Ari Hara: è che il mercato della Mauritania è invaso da latte e latticini importati a basso costo dall’Europa. Pensate: il 60% della popolazione mauritana vive direttamente o indirettamente dell’allevamento (inclusa la produzione casearia), settore che contribuisce circa il 13% del Prodotto interno lordo del paese. Eppure la Mauritania importa il 65% del latte che consuma, sottolinea un rapporto congiunto dell’Associazione mauritana Amad, Oxfam e Acord. In parte è un retaggio del passato recente: ancora negli anni ’80 nei mercati delle città  mauritane era impossibile trovare latte fresco, c’era solo quello in polvere o a lunga conservazione importato (di solito dall’Europa). Poi però si è sviluppata anche in Mauritania un’industria casearia, che distribuisce latte Uht, yoghurt, panna e così via. Irin ricorda Tiviski, la prima azienda casearia avviata a Noouakchott nel 1987 da una britannica sposata con un mauritano: aveva cominciato a comprare il latte di cammello da produttori delle campagne circostanti, buon latte fresco che poi pasteurizzava e distribuiva in città . Questo implicava rafforzare la rete di raccolta, e così è nata un’Associazione dei produttori di latte di Tiviski che fornisce aiuto veterinario, piccoli crediti e altri servizi. L’associazione ha aiutato anche a dare un migliore status sociale ai lattai: in generale erano visti come il gruppo sociale più povero, umile e disperato. L’esperienza di Tiviski ha pure convinto molti abitanti delle città , che consideravano il latte importato «più sicuro», che è perfettamente sano consumare latte e latticini freschi locali. Oggi Tiviski (in arabo significa «primavera») raccoglie tra 10 e 20mila litri di latte al giorno da un migliaio di allevatori, per lo più di cammello ma anche di capra e di mucca.
L’Undp stima che il modello Tiviski potrebbe venir esteso, rafforzando un’industria casearia mauritana. L’Associazione per l’auto-sviluppo sogna di moltiplicare le esperienze analoghe a quella di Ari Hara: dice che il governo dovrebbe promuovere piccole imprese di trasformazione nei villaggi; fa campagna per la diffusione di latte e latticini locali. Il problema però è che il latte europeo arriva in Mauritania a prezzo stracciato, grazie alle sovvenzioni comunitarie, e i produttori locali non possono competere: sono i sussidi agricoli europei (e di altri paesi industrializzati) la maggior minaccia alla sicurezza alimentare di un paese come la Mauritania.


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