Il centrosinistra fiuta la rivincita da Ambrosoli a Civati è caccia a un nuovo Pisapia

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MILANO. UN TEMPO il Celeste arrivava dal cielo in elicottero e si posava sulla nuvola dell’ufficio al trentacinquesimo piano, abbassando uno sguardo sovrano sulla «sua» regione. Ma ora ogni giorno porta una nuova pena. L’ultima, l’inchiesta della procura di Bergamo sulle discariche di amianto.
 INCHIESTA che minaccia di aprire lo scrigno dei misteri, gli affari della Compagnia delle Opere. Formigoni infila l’ascensore di corsa, per fuggire le telecamere, e si arrocca in un bunker. L’altra sera s’è affacciato appena per osservare il migliaio di formichine di sinistra, colorate e festanti, che lo contestavano nel piazzale della Regione. Poi si è rimesso alla scrivania, ha acceso tutti i notiziari e si è messo al computer per ingaggiare l’ennesima furibonda collutazione via Twitter. Raffiche di esclamativi: «Lei è un ignorante!». «Maleducato!». «Cialtrone! ». Di rado s’avventura sul terreno per lui scivoloso dell’ironia. «Sono state scritte tonnellate di falsità  su di me. Diventerò milionario coi soldi delle querele». Risposta¨ «Bravo, così al prossimo giro le vacanze te le paghi da solo».
Ma che guardi giù dalle finestre o accenda il televisore o si metta a twittare, Formigoni s’imbatte ogni volta nello spettro che più ferisce il suo narcisismo stellare. L’uomo che presto prenderà  il suo posto e di certo non lo farà  rimpiangere. Già , ma chi sarà ?
Tutti i sondaggi dicono che se si votasse oggi col maggioritario il centrosinistra vincerebbe con qualunque candidato. Ma l’esperienza aggiunge che potrebbe perdere con un candidato qualunque. E’ la fotografia esatta di quanto accadeva a Milano prima che spuntasse a sopresa il nome di Giuliano Pisapia. La caccia al «Pisapia lombardo» è dunque aperta.
Tanto per cominciare ci sarebbe il nome preferito dal Pisapia vero, Umberto Ambrosoli. Un nome che scalda i cuori di molti. Oggi, 17 ottobre, Giorgio Ambrosoli compirebbe 79 anni, se non fosse stato assassinato l’11 luglio 1979 da un sicario mafioso di Michele Sindona. «Se l’andava cercando» fu l’agghiacciante commento di Giulio Andreotti, simbolo dell’eterno grumo di potere, dalla P2 alla mafia alla banca vaticana, che Ambrosoli aveva osato sfidare. Per un paio di generazioni di onesti lombardi, la sola ipotesi che possa essere il figlio dell’eroe borghese a porre fine alla stagione del potere formigoniano e alla vergogna in cui è precipitata la Lombardia, è semplicemente un sogno. Ancora più importante, per i padrini della ‘ndrangheta, sarebbe
un incubo. Cognome a parte, la figura di Umberto metterebbe d’accordo mondi altrimenti distanti, vertici del Pd ed elettori, rottamatori e rottamandi, vendoliani e centristi, cattolici e laici. L’uomo è pieno di qualità , brillante penalista, 38 anni, intelligente e colto, con un qualche impaccio timido, ma accattivante, che si perde quando si mette al computer. Ha scritto in ricordo del padre un libro bello e toccante fin dal titolo: «Qualunque cosa succeda ». Dalla lettera del padre alla moglie Anna. «Pagherò a molto alto prezzo l’incarico. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai cosa devi fare. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto dei valori ai quali noi abbiamo creduto…». Da mesi Umberto ha ingaggiato un duello proprio su Twitter con Formigoni, con battute mica male. «Dice il Celeste: ho revocato le deleghe a Zambetti. Uao! Chissà  come avrebbe fatto a esercitarle agli arresti ». «“Nel 2010 non volevo candidare Zambetti perché giravano brutte voci su di lui”. Sarebbe una difesa?». Per la verità , Ambrosoli non le risparmia neppure alla sinistra lombarda: «S’avvicina il giorno in cui Penati potrà  tradurre in fatti la promessa di rinunciare alla prescrizione. Attesa».
Il candidato ideale Ambrosoli ha un solo grave difetto: non vuole candidarsi. «Avessi avuto due anni o anche uno per costruire una squadra di governo, sì. Ma così, in due o tre mesi non ci s’improvvisa candidato in una regione di dieci milioni d’abitanti che per vent’anni è stata occupata da un’infernale macchina di potere. La questione non è sostiituire Formigoni con una brava persona, qui si tratta di smantellare un metodo e una colossale massa d’interessi che opporrà  una resistenza feroce. Io non mi sento ancora adeguato ». L’«ancora» suona un po’ ottimista, gli faccio notare. Certo occasioni si presentano una volta sola. «Ma io sono ottimista in ogni caso. Il vento è cambiato. Mettiamola così, la mia rinuncia porterà  ancora fortuna. Quando ho rifiutato di candidarmi a sindaco di Milano, subito dopo è arrivato Giuliano Pisapia. Si troverà  un Pisapia anche per la regione ».
Se l’insistenza di Pisapia e di Pierluigi Bersani non riusciranno a smuovere Ambrosoli, per cercare l’altro possibile candidato bisogna abbassare lo sguardo sulle formichine dell’altra sera e puntare su quella al centro del cerchio più grande, Pippo Civati. Un Renzi lombardo e di sinistra, più colto e meno spaccone del sindaco di Firenze, del quale condivide l’età , 37 anni, ma non più le idee. E’ però altrettanto abile a manovrare la rete, potrebbe incarnare la voglia di voltare pagina e intercettare qualche voto dalle truppe dei grillini, che in Lombardia viaggiano verso il 20 per cento. Professore di storia con la passione di Giordano Bruno, piace anche alle signore che vanno a messa, per via dell’aria del «bravo fioeu». Ha maturato una bella esperienza da consigliere regionale, non se la tira da intellettuale e da bravo brianzolo è uno sgobbone capace di macinare chilometri in campagna elettorale. Piace però molto meno all’apparato del Pd lombardo, in gran parte nominato da Penati. Non si può dire che fosse un amico dell’ex braccio destro di Bersani, il che naturalmente non è un difetto. Di fatto Civati si è già  candidato alle primarie, se si faranno. «Ma vorrei farlo con il partito e non contro».
Gli altri due nomi in corsa, per ora, sono quelli di Bruno Tabacci e Alessandra Kustermann. Tabacci era vicepresidente della Lombardia negli anni Ottanta. Formigoni twitta: «Se candidano lui, è fatta!». Alessandra Kustermann è un grande medico, primaria di ostetricia alla Mangiagalli e fondatrice dell’associazione contro la violenza sulle donne. Come assessore alla sanità  lombarda, sarebbe la rivoluzione. Molto apprezzata dalla borghesia milanese di sinistra, avrebbe solo poche settimane per farsi conoscere oltre la cerchia dei Navigli.
Alla fine saranno le primarie a decidere. Il segretario del Pd lombardo, Maurizio Martina, sbarazza il campo dagli equivoci: «Le faremo, dobbiamo farle, anche se non è semplice. Sono nel nostro Dna». L’idea è quella di accorparle con il ballottaggio delle primarie nazionali, il 2 dicembre. Il vincitore, più che con gli improbabili eredi del Celeste, Albertini o Maroni, dovrà  fare i conti con la storia. Quella che ha visto la Lombardia governata dal centrodestra per vent’anni e prima per quaranta feudo democristiano. Dovrà  vedersela anche con la consolidata abitudine della sinistra lombarda alla sconfitta. Giorgio Ambrosoli amava una frase di Sant’Ambrogio: «Voi pensate: i tempi sono pesanti, i tempi sono difficili. Vivete bene e muterete i tempi».


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