by Sergio Segio | 19 Ottobre 2012 7:30
ATENE. STAVOLTA c’è scappato il morto, e ora tutto è ancora più difficile e doloroso. LA PRIMA vittima delle proteste e della crisi che infiammano la Grecia aveva 65 anni, era uno dei tanti lavoratori marittimi che rischiano una pensione da fame, e come migliaia di colleghi aveva deciso ieri di lasciare il Pireo immobile e silenzioso per venire qui ad Atene in piazza Syntagma a protestare. Invece lo hanno portato via in ambulanza appena prima di doverlo dichiarare morto, un maledetto infarto arrivato in una piazza sconvolta dai lacrimogeni e dalle molotov, dalle urla e dalle manganellate. Due ore di fuoco e fumo da cui sono fuggiti in migliaia, mentre centinaia di black bloc arrivati da mezza Europa e un piccolo esercito di agenti in tenuta anti sommossa si rincorreva tra cariche e lanci.
Nelle ultime tre settimane è la terza volta che tutto il Paese scende in piazza a protestare. Basta con i tagli, basta far pagare al popolo la corruzione e i disastri della politica. Per sindacati, studenti e lavoratori ieri era il giorno giusto per ripeterlo, alla vigilia della decisione della Troika (Bce, Fmi e Ue) sullo sblocco di una nuova tranche di aiuti da 31,5 miliardi di euro in cambio di una sforbiciata di ennesimi, pesanti tagli. Stavolta toccherà quasi certamente a pensioni e stipendi, il governo del premier conservatore Antonis Samaras deve risparmiare 11,5 miliardi di euro dal bilancio fallimentare del Paese se vuole ottenere l’assenso al pagamento dei nuovi aiuti europei proseguendo sul tracciato segnato dall’Europa.
Ma in un Paese schiantato sotto il peso della recessione e della disoccupazione, ogni nuova manovra – per indispensabile che sia – finisce per trascinarsi contro un intero popolo di cittadini infuriati. Ieri, dunque, mentre in Europa i capi di Stato si riunivano in Consiglio e il premier tedesco Angela Merkel diceva di auspicare «che la Grecia resti in Eurolandia» e di aver percepito «una seria volontà » dei greci di mettersi in riga con gli impegni internazionali, la Grecia si è trasformata in un deserto indignato: fermi i traghetti e le navi in porto, a terra gli aerei per tre lunghe ore, niente taxi né autobus per tutto il giorno. E niente edicole,
buio persino sull’informazione per tre ore cruciali durante proteste e scontri. Si è fermato tutto il settore pubblico, gli ospedali hanno sospeso le attività programmate occupandosi solo delle emergenze, gli uffici hanno lasciato le imposte serrate, difficile trovare panetterie aperte, che hanno spento i forni in segno di protesta. Qui ad Atene, dietro lo striscione con scritto «Non ci ascoltano? Noi non possiamo più sostenere l’austerity, con tagli l’Europa ci sta strangolando», 70mila persone sono scese in piazza nelle due manifestazioni, quella dei due sindacati più importanti – Gsee e Adedy – e quella del Pame, il sindacato più vicino al partito comunista. A quest’ultima aveva deciso di partecipare anche il povero marittimo deceduto: era un vecchio militante, quando si è sparsa la voce che in mezzo a quel fuggi fuggi impazzito
si era sentito male ed era morto, l’aria è diventata gelida all’improvviso. Gli hanno dedicato un minuto di silenzio, tutti zitti a pensare a una protesta che da ora fa anche più paura.
«Non appena il rapporto della Troika sarà presentato, verranno prese le decisioni sul pagamento della prima tranche, lo faremo qua al Bundestag e da nessun’altra parte», dice a Berlino la cancelliera Merkel cercando di tranquillizzare il suo parlamento preoccupato dal costo del salvataggio; e ricordando che il panorama in Grecia continua a essere nero, e che i cambiamenti strutturali vanno avanti «alla velocità di una lumaca. Posso ben comprendere che la grande maggioranza del popolo greco sia furente di fronte al fatto che i greci che dispongono di patrimoni non vogliano dare il loro contributo alla soluzione dei problemi del loro Paese».
Intanto i greci si medicano le ferite in ospedale. Alla fine di una giornata da dimenticare, con cento fermati e sette arresti, sono una decina i feriti accompagnati al pronto soccorso, ed è una buona notizia che nessun altro si sia fatto davvero male. Quanto ai sindacati, già raddoppiano: Yannis Panagopoulos, leader del Gsee, annuncia che il 14 novembre si replica con un nuovo sciopero generale, nella giornata di mobilitazione internazionale in cui protestano anche le compagne di sventura e di tagli, Spagna e Portogallo.
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