Gli orti della mia Africa il cibo per salvare i poveri

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Sinceramente, nel 2004, quando negli uffici di Slow Food abbiamo pensato di invitare a Torino negli stessi giorni del Salone del Gusto più di 5.000 rappresentanti di comunità  del cibo da quasi tutti i Paesi del mondo, non potevamo immaginare cosa sarebbe successo negli anni a seguire.
Ma nemmeno che nel 2012 sarei finito in una scuola elementare rurale dell’Uganda a visitare un orto. Di una cosa però eravamo certi: di quelle migliaia di contadini, pastori, pescatori, nomadi, cuochi e cuoche tradizionali o piccoli artigiani del cibo ci si può fidare a occhi chiusi. Più di tutto hanno a cuore la terra con il cibo che produce, e condividono questo valore. Il resto sarebbe venuto da sé, e sarebbe stato ben più grande di come lo potevamo figurare.
Dopo otto anni ci apprestiamo a celebrare la quinta edizione del meeting delle comunità  con una novità  che è anche un messaggio speciale: Salone del Gusto e Terra Madre dal 25 al 29 ottobre per la prima volta diventano una cosa sola, per raccontare “i cibi che cambiano il mondo”. Condivideranno gli stessi spazi, saranno completamente aperti al pubblico sia per quanto riguarda le conferenze sui tanti temi di Terra Madre, sia per la possibilità  di incontrare i rappresentanti delle comunità , i quali potranno esporre, vendere e fare assaggiare i loro prodotti come tutti gli altri espositori presenti al Salone del Gusto.
L’area dedicata all’Africa sarà  allestita intorno a un orto di 400 metri quadri in cui si potranno ammirare le varietà  vegetali che si coltivano negli orti africani, quelli appartenenti ai “Mille orti in Africa”. Il progetto è nato in seno a Terra Madre ed è sviluppato dalle comunità  stesse, finanziato da una raccolta fondi. L’idea però viene proprio dall’Uganda, un Paese in cui Terra Madre e Slow Food hanno attecchito molto spontaneamente dopo il primo appuntamento del 2004. In Uganda si capisce bene cosa vuol dire fare rete: Terra Madre fin dal suo inizio non si è esaurita nel momento d’incontro biennale, ma si è configurata come un network permanente, in cui le comunità  del Nord e del Sud del mondo restano in contatto, scambiano informazioni, stringono legami, generano progetti. I meeting di Terra Madre si sono moltiplicati ovunque a livello locale e nazionale: dagli Usa al Sud America, dall’Est europeo all’Asia, e molto in Africa. Ci sono le sottoreti che affrontano i problemi degli indigeni (Terra Madre Indigenous People si è tenuta in Svezia, su impulso delle popolazioni Sami, volgarmente ed erroneamente detti Lapponi). Ci sono viaggi e scambi tra comunità  che fanno gli stessi prodotti,com’èstatoperiproduttori di bottarga di Orbetello andati in Mauritania dalle donne Imraguen a mostrare le loro tecniche per ottenere una bottarga migliore e per costruire dei laboratori moderni ma rispettosi della lavorazione tradizionale. Gli esempi e le storie potrebbero moltiplicarsi, e molte ancora non le conosciamo: la rete non è proprietà  di nessuno e si alimenta meglio da sola, in libertà . Siamo di fronte a una complessità  difficile da maneggiare e, per l’appunto, raccontare. Per cui torniamo in Uganda, in quel cortile a Bunanimi.
La scuola elementare è pubblica, raccoglie le fasce di popolazione più povere di questa zona difficile. C’è uno dei Mille Orti in Africa, che non ha soltanto finalità  educative per i piccoli ma piuttosto per l’intera comunità . La presenza dei genitori durante la mia visita è stato il segnale che la scuola svolge una funzione sociale importantissima. Coinvolgendo i genitori degli alunni nel progetto di orticoltura, le comunità  diventano parte attiva nella produzione e nello scambio di sementi e di tecniche produttive. I ragazzi portano a casa i semi moltiplicati nell’orto spingendo le famiglie a diversificare le proprie coltivazioni. A Bunanimi aspettavano preoccupati la pioggia: rafforzare la biodiversità  delle loro colture significa, a queste latitudini, ridurre la vulnerabilità  delle famiglie ai pericoli dell’insicurezza alimentare. Ne ho visti altri di orti in quel viaggio in Uganda, dove ora sono 64 su mille. Sempre nei pressi di Mbale, a Bupoto, c’è la scuola superiore St. Stephen. Sono stato accompagnato dagli studenti in un percorso di una piccola ma completa mostra della biodiversità  locale: una moltitudine di varietà  di frutta, verdura, cereali e tuberi esposti su vecchi banchi di scuola nel cortile. Volevano raccontarmi la ricchezza del territorio, le tecniche di trasformazione e di preparazione delle pietanze nelle diete locali. Mbale rappresenta molto per Terra Madre, se vogliamo ragionare in termini di potenzialità  della rete. Fredrick Wabusima, “Freddy” per gli amici, venne a Torino per la prima edizione del meeting. È un dj radiofonico e presentatore televisivo, seguitissimo sulle frequenze di Step Tv, un network locale da cui Freddy tiene programmi di intrattenimento. Proprio grazie alla radio alcune scuole della regione orientaledell’Ugandasonovenute a conoscenza del progetto dei Mille Orti, che così si sono moltiplicati. E Freddie, senza che gli fosse espressamente richiesto, ha portato Slow Food in Est Uganda, dove prima non c’era, svolgendo una completa attività  di volontariato. Non è scontato parlare di volontariato in un continente che in molte zone si è anche troppo abituato all’assistenzialismo.
La rete ugandese si è diffusa fino a Kampala, la capitale, grazie all’aiuto e l’opera gratuita di altri giovani brillanti come Edward Miukiibi, che mi ha guidato negli orti dei distretti di Mukono e Kayunga. È stato toccante essere accolto dai bambini della scuola materna Buiga Sunrise, in divisa giallo-rossa, per il loro Fruit&Juice party, appuntamento annuale in cui si coinvolgono i cuochi locali (come l’attivissimo Dembe Catering Group) e i genitori per promuovere il consumo di frutta fresca locale.Grandeimpulsol’ha poi dato anche l’università , perché la rete di Terra Madre ha i suoi rappresentanti del mondo accademico. Il professor Moses Makooma Tenywa della Makerere University, facoltà  di agraria, ha sviluppato un sistema di comunicazione attraverso le nuove tecnologie che mette in rete le comunità  rurali più remote dell’Uganda e diffonde tecniche colturali moderne e sostenibili e mette in contatto chi produce con chi compra, svolgendo un servizio indispensabile.
In Uganda ho poi camminato tra le piante di antiche varietà  di caffè robusta del distretto di Luweero. Piante vecchie anche 50 anni. L’Uganda è famosa nel mondo per la produzione di robusta, adatta soprattutto a dare corpo ai caffè espresso, una volta miscelata con la più nobile varietà  arabica. A Luweero, nonostante il governo ugandese spinga ovunque per la sostituzione delle varietà  tradizionali con ibridi commerciali più produttivi, molti coltivatori hanno preferito conservare le antiche varietà , più resistenti all’insorgere delle malattie e anche di qualità . A casa di Ernest Kigozi, leader di queste comunità , ho festeggiato la nascita del Presidio del kiboko, il più significativo tra tutti i termini con cui gli ugandesi chiamano il caffè: il kiboko infatti era il bastone che i coloni inglesi usavano per punire i coltivatori indolenti, che si dimenticavano di rivoltare le ciliegie di caffè messe a essiccare. L’ho assaggiato quel caffè, preparato alla moda tradizionale, e mi ha regalato un gusto mai provato prima.
Il Presidio delle antiche varietà  di robusta ugandesi sarà  presentato ufficialmente al Salone del Gusto e Terra Madre 2012, e si potranno incontrare tutti i protagonisti che ho conosciuto in quel viaggio. Come anche i produttori di banane bogoya della Mabira Forest, la foresta-orgoglio nazionale di cui lo Stato però sta svendendo grosse porzioni a grandi compagnie indiane. Mai sentito parlare di land grabbing?
È sconvolgente attraversare la foresta sulla strada che la taglia tra due alti e fitti muri vegetali e poi, all’improvviso, vederla sparire per distese di canna da zucchero. Ma chi abita la foresta resiste.
L’Uganda mi ha fatto conoscere solo un’ulteriore minima parte di un’umanità  straordinaria che, sparsa per il mondo, realizza piccole grandi cose nelle proprie comunità  locali. Merita quanto meno di essere conosciuta, al di là  di ogni considerazione o giudizio: di fronte ai bambini di Bunanimi o Mukono ho visto tutta Terra Madre, e non mi sono mai sentito così piccolo.


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