Fiorito, sequestrate la villa e le auto
ROMA — La spartizione dei fondi della Regione Lazio «avvenne grazie a un accordo tra il presidente del Consiglio regionale Mario Abbruzzese e tutti i gruppi che poi decidevano come spendere i soldi». Non cambia linea Franco Fiorito. Dalla cella di Regina Coeli l’ex capogruppo del Pdl arrestato tre giorni fa con l’accusa di peculato per essersi appropriato di un milione e 350 mila euro, conferma che tutti i suoi colleghi utilizzavano il denaro anche per spese personali. E tenta di rilanciare. Mentre il giudice ordina il sequestro della sua villa al Circeo, delle auto di grossa cilindrata (che saranno usate dalla Finanza) e dei conti correnti, lui si concentra su quella «doppia» e addirittura «tripla indennità » che si era attribuito quando aveva anche l’incarico di presidente della Commissione bilancio e di tesoriere. E dichiara: «Anche negli altri gruppi si faceva così».
L’inchiesta sulle ruberie e gli sperperi entra dunque in una fase cruciale. E si arricchisce di nuovi dettagli. Tra i documenti depositati in vista dell’udienza davanti al Tribunale del riesame c’è la relazione preparata dagli specialisti del Nucleo valutario guidati dal generale Giuseppe Bottillo. Hanno individuato «quattro bonifici tra il quattro aprile 2012 e il 5 maggio 2012 per 23.140 euro accreditati da Fiorito su uno dei suoi conti personali e rimborsi giustificati come “pagamenti canone locazione sede Roma gennaio/febbraio/marzo/aprile 2012″» che potrebbero in realtà essere serviti per pagare gli affitti dei due appartamenti che lo stesso politico aveva ottenuto da due enti benefici in pieno centro di Roma.
Proprio per cercare di ottenere la restituzione dei soldi che avrebbe preso illecitamente, il giudice ha disposto un nuovo provvedimento contro Fiorito. Sotto sigilli sono finiti, oltre alla magione del Circeo, la Jeep Wrangler comprata per affrontare la nevicata di Roma nel febbraio scorso, la Bmw e la Smart, tutte pagate con i soldi pubblici. La Guardia di finanza hanno bloccato anche i 7 conti correnti aperti in Italia e i 4 in Spagna dove ha trasferito oltre 330 mila euro. Soldi che si era impegnato a restituire prima che fosse ordinata la sua cattura.
«È solo il caso di evidenziare — scrive il giudice Stefano Aprile motivando il sequestro — che si sono raccolte prove molto concrete che vanno ben al di là di quanto richiesto». All’ora di pranzo lo stesso giudice entra in carcere per il cosiddetto interrogatorio «di garanzia». Nella cella, per ordine dei medici del carcere, sono sparite le merendine e bibite gasate che aveva comprato in quantità allo spaccio del carcere, ma che sono ritenute «incompatibili» con la sua salute. Fiorito ha ripetuto quanto aveva dichiarato il 19 settembre, ma ha aggiunto alcuni dettagli. Nonostante nell’ordinanza di custodia cautelare gli sia già stato contestato che ben sei testimoni «smentiscono le sue confuse dichiarazioni difensive sull’erogazione di indennità multiple», lui ribadisce che «questa era la prassi» e si dichiara «pronto a provarlo con fatti e circostanze», confermano i suoi legali Carlo Taormina ed Enrico Pavia. Poi entra nelle contestazioni. E cerca di scrollarsi di dosso una parte delle accuse, anche a costo di scaricarle sui suoi collaboratori.
Tra le spese illecite c’è quella per la caldaia per la villa del Circeo. Si tratta di una fattura di 1.100 euro trovata durante la perquisizione nell’appartamento del suo segretario Bruno Galassi. «Lui si occupava delle incombenze, non so davvero che soldi abbia utilizzato». Galassi sarà risentito, così come l’altro segretario Pierluigi Boschi. E intanto si continuano a esaminare anche le fatture depositate da tutti gli altri consiglieri del Pdl.
Fiorenza Sarzanini
Related Articles
Milano, Boeri perde l’Expo «Resto anche dimezzato»
Pressioni del Pd, poi la riammissione. Pisapia: atto distensivo
I tagli non bastano
Mezzo passo in avanti e due indietro, così si potrebbero commentare le dichiarazioni del ministro-ammiraglio Di Paola alle commissioni Difesa di camera e senato. Il mezzo passo in avanti è l’annuncio della riduzione delle Forze Armate di 30mila unità (dalle attuali 183mila).
Dal Viminale nessun dossier specifico Gli analisti: non enfatizzare il disagio sociale
ROMA — Il silenzio del ministro dell’Interno Roberto Maroni di fronte al doppio allarme lanciato dal suo collega del Welfare Maurizio Sacconi non appare affatto casuale. Perché l’analisi su azioni o possibili obiettivi dei gruppi violenti che hanno agito a Roma durante il corteo degli «Indignati» del 15 ottobre scorso, il titolare del Viminale l’ha consegnata al Parlamento e oltre non ritiene di dover andare.